bacheca
 
FOTO FABRIZIO FIORE

Ma a controbilanciare tutto ciò e che ci porta tanto in alto c’è la speranza, quella speranza “che non delude”, da renderla quasi del tutto incredibile: “Queste cose le so: ma io voglio giocarmi, fino all’ultima, tutte le carte dell’incredibile e dire ugualmente che il nostro pianto non ha più ragione di esistere. La Risurrezione di Gesù ne ha disseccate le sorgenti. E tutte le lacrime che si trovano in circolazione sono come gli ultimi scoli delle tubature dopo che hanno chiuso l’acquedotto” (Il Calvario tre giorni dopo). La Risurrezione non dissecca soltanto le sorgenti del pianto, ma fa scaturire inaspettatamente il sorriso. Fa piangere, forse, ancora una volta, ma come quando ci succede per un’emozione dovuta a una gioia intensa e improvvisa. Si passa dal pianto mesto del lutto al pianto incontenibile. Questa metamorfosi del pianto, diremmo in termini cristiani, è la sua trasfigurazione.

Tutto accadeva in una sequenza di tempo di appena due notti e all’inizio del terzo giorno. Ma senza cambiamento di luogo, perché tutto avveniva davanti a una tomba: quella dapprima nuova che, al calar del sole del venerdì, si era riempita del corpo di Colui che né i cieli né la terra possono contenere, e che, al mattino di Pasqua, invece, era stata trovata completamente vuota. O meglio, era stata trovata aperta e senza il corpo di Gesù, il quale però aveva lasciato lì una sorta di involucro vuoto e giacente sulla superficie dove era stato deposto, come un otre afflosciato: le bende che lo avvolgevano, e il sudario, ripiegato da un’altra parte. Proprio vedendo ciò, Pietro e Giovanni, che alle parole della Maddalena erano accorsi alla tomba, credettero (cf. Gv 20,1-8).

La figura più emblematica, ma che come sempre rappresenta interamente la nostra umanità, è Colei che è passata dal desolante pianto sotto la croce al pianto di chi rivede e abbraccia quel figlio che esce da quel sepolcro: “Maria dovette essere presente, l’unica, all’uscita di Lui dal grembo verginale di pietra: il sepolcro ‘nel quale nessuno era stato ancora deposto’. E divenne la Donna del primo sguardo dell’uomo fatto Dio. Gli altri furono testimoni del Risorto. Lei, della Risurrezione”.  (Maria donna del terzo giorno). Risurrezione, dunque, dal pianto e del pianto, che tale rimane, ma che cambia di segno. Risurrezione del Figlio, che era perfettamente Dio e compiutamente uomo, sia allora, quando era esanime sulla croce, sia adesso, ma conservando per sempre quelle ferite, che pur sfolgoranti di luce, restano ferite aperte. Indicano che tutte le nostre ferite, da quelle visibili a quelle invisibili dell’anima, non soltanto hanno valore, ma possono brillare di luce. Impariamo a vivere non solo con le nostre ferite, ma a farne un punto di forza per una risurrezione continua. Feritoie che lasciano entrare la luce e che consentono di guardare più in là. Oltre se stessi e al di là del proprio dolore. Per assumere il dolore degli altri, ma anche per vedere oltre: verso la luce che proviene dal Risorto”.
                                                                                       Don Tonino Bello

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ed ora entriamo nella Storia di Paolo: un’altra straordinaria avventura che contribuirà a farci compiere un altro passo importante nel nostro cammino di fede.
FESTA  DI  GIOIA
“Alleluia. Loda il Signore, anima mia: loderò il Signore per tuta la mia vita, finché vivo canterò inni al mio Dio”.     (Sal 145,1-2)
Paolo nascelunedì 18 maggio 1987, all’ospedale Sant’Antonio abate di Cantù, nelle primissime ore del mattino. Fuori piove a dirotto,esattamente come quando nascerà al Cielo il 2 ottobre 2005.Arriva nella famiglia Marelli dopo Alessandro che quell’anno compie sette anni e Mattia che di anni ne ha quattro. Durante la gestazione ha rischiato seriamente, prima con la minaccia di aborto e poi con il parto prematuro, fortunatamente con le adeguate cure la gravidanza si è compiuta nei tempi giusti e Paolo, al momento della nascita, pesa ben 3,850 chilogrammi.La cosa sorprendente è però la sua lunghezza di ben 54 centimetri! Ci sono pertanto tutte le premesse perché Paolo diventi il più alto dei fratelli!E ora un aneddoto molto interessante: per tutta la durata della gravidanza, papà Roberto e mamma Margherita non hanno voluto sapere se sarebbe nato maschio o femmina; volevano che fosse una sorpresa. Avevano però pensato ampiamente ai possibili nomi da dare al/la neonato/a:se fosse nata femmina, il nome sarebbe stato  Angela, nome della nonna materna, venuta a mancare cinque anni prima.Se invece fosse stato maschio, si sarebbe chiamato Pietro o Paolo.  La mamma ci racconta a tal proposito: “Ogni volta che aspettavamo un bambino, Roberto proponeva di chiamarlo Zebedeo, un nome biblico.Vista la sua insistenza, prendevo in mano la situazione pensando ad alternative un po’ meno “forti”. Quando aspettavamo il terzo figlioero indecisa sui due nomi, così una sera ho proposto ai fratelli di decidere insieme.Mi sono messa in posizione di riposo e ho iniziato a sollecitare la mia pancia, poiché Paolo si è sempre mosso molto poco durante la  gestazione. Quella sera abbiamo pronunciato, a voce decisa, tutti e tre insieme il nome:‘Pietro’.Nulla, tutto fermo. Quando invece, poco dopo, abbiamo pronunciato:‘Paolo’, ecco che qualcosa si è mosso. Possiamo affermare che è stato proprio lui, da solo, a scegliersi il nome”.
PARTO TRAVAGLIATO
“La donna, sul punto di diventare madre è triste perché è venuta la sua ora; ma quando ha dato alla luce, dimentica i suoi dolori per la gioia che sia venuto al mondo un uomo”.    (Gv 16,21)
Quando Paolo è venuto alla luce non ha pianto subito,la mamma si è allarmata. Perché, ci si chiederà? Perché a una zia di mamma Margherita era nato un figlio con patologie serie,i cui primi segni si erano manifestati nel non avere pianto al momento della nascita.Memore di questo, Margherita ha dato una spinta a Roberto chiedendogli a voce alta perché il bambino non piangesse. La perplessità è stata subito risolta: Paolo aveva tre giri di cordone ombelicale intorno al collo ma, per grazia di Dio, il cordone era molto lungo. L’ostetrica si prende cura del bambino, tuttavia intorno alla neo mammac’è un po’ di agitazione. C’è stata una lacerazione e si deve intervenire immediatamente. Nonostante ciò Margherita gioisce perché, finalmente, sente il pianto del suo bambino. Roberto lecomunica che preferisce uscire perché non ce la fa’ ad assistere alle operazioni necessarie a cui è sottoposta la moglie.Terminato il tutto, Margherita esce dalla sala parto con il catetere e i medici l’avvisano che “potrebbe aver bisogno di una plastica all’uretra”, cosa che avrebbero tuttavia deciso il giorno seguente, in base all’esame delle urine. Anche in questo caso, però, per grazia di Dio, tutto si risolve nel migliore dei modi.Mamma Margherita è costantemente monitorata per tenere sotto controllo l’emorragia. Roberto si rivolgealla moglie dicendole: “Oggi è il compleanno di Papa Giovanni Paolo II, che cosa ne pensi se diamo a Paolo insecondo nome, Carlo?”.Che meraviglia di pensiero!Ed ecco: Paolo Carlo sarà il suo nome.Il papà di Roberto si chiama Carlo e tutti pensano che questa scelta sia stata un dovere della tradizione. Invece non è così, del resto anche al nonno è sempre stato detto che Carlo stava per Karol, il nome di Battesimo di San Giovanni Paolo II.
Alla nascita del primo figlio, Roberto aveva regalato alla moglie un’orchidea, fiore che a lei piace molto;alla nascita del secondo aveva optato per una orchidea doppia.Poco prima del lieto evento dell’arrivo del terzogenito, scherzando, Margherita aveva chiesto al marito se esistesse anche l’orchidea tripla.Questa volta Roberto stupisce: per la nascita di Paolo dona alla mogliedodici rose rosse, ammirate da tutti, anche dalla pediatra amica di famiglia.

COMPLICAZIONI
“Alla donna Dio disse: Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli”.   (Gen 3,16)

Ma ecco che un’altra ombra oscura si abbatte su questa famigliola felice. Sarà proprio l’amica pediatra ad  avvisare che, per incompatibilità dei sottogruppi sanguinei, Paolo rischia di essere sottoposto a trasfusione. Terza “mossa” della Divina Provvidenza: Paolo non ha nemmeno l’ombra dell’ittero.Si torna a casa. Dopo soli quattro giorni, quando il neonato ne haappena dieci, ecco che per un giorno intero non succhia il lattee alla sera scotta.Gli viene misurata la temperatura: ha poche lineette di febbre. Sono le 23:30. Chiamano il pediatra, che arriva immediatamente, e, dopo un’accurata visita, decide di far ricoverare il piccolo.Partono immediatamente verso l’ospedale sant’Anna di Como: Roberto guida e la moglie è accanto a lui, con Paolo avvolto in una copertina. Tra i due regna il silenzio totale.In quel breve tragitto, soli, di notte, entrambi hanno pensato che stesse accadendo qualcosa di serio, pensandochiaramente al peggio.Arrivati in ospedale, ben quattro pediatri si prendono cura di Paolo senza riuscire a trovare una risposta ai sintomi che il bimbo manifesta.Mamma e bimbo vengono ricoverati in una cameretta da soli, Paolo con la flebo nella testa e mamma Margherita seduta su una sediatrascorre tutta notte a vegliare su di lui (purtroppo in quell’occasione non c’è stata molta attenzione per questa mamma che aveva partorito da poco).Nei due giorni successivi di ricovero non si viene a capo di nulla, finchè, come racconta la mamma “una mattina mentre gli faccio il bagnetto, noto un eritema.Chiamo l’infermiera: sesta malattia è la diagnosi, ma rimangono dei perché da risolvere, è troppo precoce per manifestarsi e ci si chiede quando può averla presa. Paolo ha solo tredici giorni di vita!”. Ad ogni modo martedì 2 giugno il piccolo viene dimesso dall’ospedale. Si torna a casa e ci si prepara per un altro grande avvenimento

AVANTI

 

 

 


Gruppo S. Maria Porta del Cielo - www.gruppomariaportadelcielo.it - mariaportadelcielo@libero.it - 3245664056 - Termini e condizioni Privacy & Cookie Policy

Contatori visite gratuiti