|
Era domenica 2 ottobre 2005
e, in seguito ad una caduta durante una gara di ciclismo,Paolo Marellici lascia per sempre. È il giorno della festa degli Angeli Custodi,la gara sta per terminare: l’arrivo è previsto in prossimità del santuario della Madonna del Bosco a Imbersago (CO). La gara è stata accompagnata da un temporale molto forte e incessante che ha reso la competizione stessa pericolosama, chi poteva (e doveva!)decidere per la sospensione, non lo ha fatto!
Papà Roberto e mamma Margherita, genitori di Paolosi esprimono così: “Da quel 2ottobre molti “perché” hanno occupato la nostra mente. Perché proprio lui? Perché non hanno fermato la gara? Perché gli angeli custodi non sono intervenuti? Perché la Madonna, che anche quella mattina aveva invocato con il papà in auto mentre si recavano alla gara, non lo ha protetto? Perché ...? Perché …? PERCHÈ ...?La nostra vita ( chefino a quella data contava 26 anni di matrimonio e tre figli maschi che davano soddisfazioni e anche qualche impegno per la loro educazione)in quel momento subisce un trauma profondo, che lascia una ferita che non si cicatrizzerà mai completamente e che sarà sempre molto sensibile.Molti genitori che subiscono il lutto per la morte di un figlio smettono di vivere esi lasciano sopravvivere per il resto dei loro giorni.È un dolore che oltre alla sofferenza forte lascia un senso di colpa per essere sopravvissuto al figlio. E’ innaturale che siano un padre o una madre ad accompagnare al cimitero il figlio, dovrebbe sempre essere il contrario. Quando la natura commette questo sbaglio, quando fallisce e va contro le sue stesse leggi, accade un disastro, una disgrazia, qualcosa di devastante.
Può facilmente essere intuita la durezza di un dolore tanto profondo e il senso di devastazione che colpisce chi lo vive sulla propria pelle.Davanti a questa prova è lecito vacillare, vivere lo sconforto totale e anche il senso di smarrimento che ti toglie la possibilità di pensare al futuro.È una prova che ti toglie la voglia di vivere.Quando muore un figlio, anche noi genitorismettiamo di respirare con lui , nel momento in cui cessa di battere il suo cuore, anche il nostrosubisce un arresto.Eppure, anche se non lo vogliamo, noi riprendiamo a respirare: la nostra vita non è finita,continua… purtroppo continua ...anche se nulla sarà mai più come prima. Marito e moglie non sono più quelli di prima, gli altri figli non lo sono più … il mondo stesso non ti appare più come prima.Cambia il parametro con cui guardi e vedi le cose e la vita stessa è ora diversa: tiè come sconosciuta. Pertornare a vivere devi imparare a riconoscerla nelle piccole cose quotidiane. Nulla ha più senso, nemmeno prenderti cura della tua persona e non riesci ad accettare perché tu devi vivere mentre per lui è tutto finito. Non ti capaciti di come le persone continuino a correre e a preoccuparsi tutto il giorno di cose che per te, ora, non contano assolutamente nulla e, anzi, cogli tutto il vuoto di cui sono impregnate.Non trovi il senso di dover pensare alla quotidianità e di vedere glieventi come indispensabili.Ora tutto è così diverso che davvero ti sembra di aver subìto un terremoto di altissima potenza, che ha lasciato solo devastazione totale. Non hai alcun riferimento esterno su cui poterti appoggiare per cercare di rialzarti. Tutto è crollato ed esistono solo macerie.Verrebbe da pensare che a questo punto, per un genitore che vede morire un figlio, debba esistere solo il desiderio di morire anche lui… e,in effetti, per un po’ di tempo questo pensiero non è sconosciuto. Arriva ogni tanto alla mente, ma non come desiderio suicida, semplicemente perché non si ha più voglia di vivere. Pensare alla morte ora non spaventa nemmeno, è quasi naturale.
Vorremmo testimoniare che oltre il dolore per la perdita di un figlio ci può essere una rinascita. È l’esperienza che abbiamo vissuto dopo la morte di Paolo e che ha permesso a noi genitori di tornare vivere davvero e di non di lasciarci semplicemente sopravvivere.Parliamo della nostra esperienza personale, ben coscienti che ciascuna persona in lutto la vive in modo differente.Noi abbiamo sempre saputo che Paolo era stato tolto ai nostri occhi e morto come corpo ma pur sempre vivo. Era ed è vivo in una realtà che a noi purtroppo non è dato di conoscere bene, ma è vivo.Questa certezza è stata la base della nostra rinascita, del poterci riprendere. Nonè solo una speranza. È una certezza, perché Gesù stesso attraverso la sua risurrezione ha vinto la morte per sempre.Sapevamo e sappiamo che Paolo stava e sta bene, che per lui non c’è più nulla da chiedere al Signore perché ha già tutto il bene possibile e che ora vive nell’Amore”.
* * *
A quest’ accorata, anche se per sommi capi, storia di Paolo, accompagnata dalle lancinanti domande che ogni “genitore ferito”, si pone, cerca di offrire una “risposta” il nostro caro Vescovo di Molfetta: don Tonino Bello. Con la sua riflessione, egli “proietta verso l’Alto i nostri cuori” e contribuisce a spalancare davanti a noi nuovi orizzonti. Sconfinati orizzonti! Ascoltiamolo.
DA MEZZOGIORNO ALLE TRE
“Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù gridò con voce forte: Eloì, eloì, lemàsabactàni?, che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. (Mc 15,33-34)
“La croce è, per tutti, collocazione provvisoria. Dopo le tre ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Risuona ancora forte questo monito: la speranza della Risurrezione è per tutti. R come Risurrezione, o meglio ancora, come Risorto; non tanto su un evento, quanto su una Persona, e ciò è assolutamente determinante per la stessa esistenza della fede cristiana. È determinante per me, come per chiunque consideri Cristo ragione della sua vita e non mero punto di riferimento culturale. Il Risorto è la ragione fondamentale della nostra vita, della nostra profezia, la quale diventa canto, anche per gli sconfitti del mondo. Nel Risorto troviamo le mille e più ragioni per continuare a sperare e a operare, affinché il mondo dei trafitti e dei vinti della terra, quello degli scantinati della storia, mostri finalmente la luce, similmente a quell’“altare scomodo, ma carico di gioia” dal quale benedico il mio popolo.“Vi benedico da un altare coperto da penombre, ma carico di luce... circondato da silenzi, ma risonante di voci. Sono le grazie, le luci, le voci dei mondi, dei cieli e delle terre nuove che, con la Risurrezione, irrompono nel nostro mondo vecchio e lo chiamano a tornare giovane”. (Pasqua di Risurrezione, 1993). Anche quel buio, emblematico delle tre ore precedenti la morte di Gesù, non era che provvisorio e delimitava un orizzonte oltre il quale c’era la Vita e il recupero di tutto il valore delle lacrime del mondo. “Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane”. (Il parcheggio del calvario). Con la Risurrezione sta in piedi la nostra fede e senza la Risurrezione essa non ha ragione di essere. Gesù ha affermato e dimostrato con le parole e i fatti, che la Risurrezione è pur sempre la meta mentre il calvario è sempre e solo un passaggio. Il Crocifisso, rimane pertanto: “collocazione provvisoria” che deve restare tale perché tale è in realtà e che tale provvisorietà esprime al meglio, fino a definirne l’intima natura, la Croce: la mia, la tua croce, non solo quella di Cristo. Il Venerdì Santo è un giorno di passaggio, fondamentale certo, ma di passaggio. È la Pasqua invece il giorno della festa e la cifra dello stato finale e abituale della vita cristiana. Del resto, lo aveva dovuto già precisare Paolo ai cristiani di Corinto, che si sentivano così portati in alto da un entusiastico, quanto inconsistente, misticismo, da perdere la concretezza “storica” della Risurrezione, e così aveva dovuto lapidariamente e definitivamente scrivere: “Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede!” (1Cor 15,17). Tutto comporta che noi sappiamo che cosa significhi la sofferenza, specie quella umanamente senza senso. Quella da cui sgorgano lacrime come in un effluvio inarrestabile: dai disastri che falcidiano i popoli a quelli esistenziali che lacerano i rapporti più intimi e più grandi. La vita che va verso la morte, la polvere di strada che accompagna il nostro cammino e che coprirà i propri passi. Le malattie che assediano sogni e vite umane e le disgrazie che uccidono futuro e giovinezza tra familiari e amici. Insomma, ciascuno di noi conosce le lacrime e ne sente come il retrogusto amaro in ogni sorso che beve di questa vita, da questa vita.
|