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Il nostro nipotino Naum per noi è tutto. Lui è il primo nipotino maschio della nostra famiglia. Fin da piccolo era così bello da diventare il nostro orgoglio. Ogni volta che qualcuno, vedendolo, diceva “Ma che bel bambino!” noi ci convincevamo che un bambino più bello di così non poteva esistere. Come tutti i bambini, amava chiamarci con vari vezzeggiativi, che ci rallegravano e ci facevano sorridere. Da lui abbiamo imparato tante cose e abbiamo sempre ammirato la sua intelligenza e il suo grande desiderio di studiare. Amava apprendere e non esitava a fare proprio tutto ciò che poteva suscitare curiosità e domande. Da quando è salito al cielo avremmo il grande desiderio di poterlo almeno sognare. Speriamo che ciò possa avverarsi.
I nonni paterni Mirko e Mladenka
Nel settembre 2018 inizia il mio anno di prova … Entro nella sezione delle farfalle e trovo il nome di Naum ancora appeso al suo armadietto e dico: - Naum inizia la scuola primaria - Naum ha iniziato con me, maestra Cinzia, la scuola dell’infanzia. Mi era stato detto: “Nella tua sezione ci sarà un bimbo ospedalizzato” (io non sapevo neppure che cosa volesse dire), ma per me Naum era un bimbo che stava bene come gli altri. Poi le chiacchierate con la mamma … e tutta la storia. Naum ogni quindici giorni andava a fare i controlli, poi una volta al mese. Un giorno però Maja mi disse: “Maestra, controllo fra sei mesi … stiamo bene!”. Un pianto di felicità.
Naum inizia la scuola primaria … ormai è grande. Chiedo alla mamma di portarlo un giorno a salutarmi. Erano le 11,45. Naum entra timidamente nella sezione, mi viene vicino, mi prende le mani e mi dà un bacio.
Io mi commuovo, ci siamo abbracciati forte forte … era diventato grande … come sapesse già ogni cosa. Mi stanno per scendere le lacrime, ma mamma Maja mi dice: “Maestra sorridi, Naum sorride e quindi dobbiamo sorridere anche noi”. La forza di mamma Maja. I primi di marzo, Maja mi dice:”Maestra, sono disperata”. Maja non si era mai lamentata, aveva una forza incredibile, sempre con il sorriso sulle labbra, solo per Naum. Poi l’8 marzo io parto per Palermo con un po’ di ansia, pensando che se fosse successo qualcosa io non sarei stata lì. La mattina del 9 marzo mi arriva il messaggio: “Naum non c’è più”. La disperazione …
Era un bambino speciale con la voglia di imparare più cose possibili, amico di tutti, soprattutto di Andrea e Massi. Gli piaceva davvero tanto venire a scuola, non bisticciava mai con nessuno. Erano tutti suoi amici.
Per non dimenticare Naum, insieme ai bambini si è deciso di piantare un albero all’ingresso della scuola. Quello è l’albero di Naum, un albero tutto colorato e allegro come era lui. Intorno è stata fatta la festa dei bambini con un grande girotondo tutti insieme. Ora nella sezione delle farfalle rimangono il ricordo e la foto di Naum. Tutti i bambini che passano in quella sezione sanno chi è, anche quelli nuovi perché i bambini lo raccontano … NAUM L’ANGIOLETTO DELLE FARFALLE.
Con infinito affetto, la tua maestra Cinzia.
“Abbiamo iniziato il primo anno scolastico in una bella classe di dodici alunni, tra i quali spiccava Naum, un bambino gracile, ma forte come un leone. Con i suoi compagni giocava, rideva, scherzava e condivideva le cose che portava a scuola. Bambino buono d’animo, era generoso e attento a tutti. Ha lottato, ha lottato veramente tanto, ha sofferto, ma sofferto veramente tanto … Ci siamo chieste più volte: - Ma perché il Signore non lo aiuta? Perché l’ha dimenticato?- Un bel giorno se n’è andato e ha portato con sé la nostra Amicizia, le risate, le belle attività e tutto ciò che avevamo condiviso. Ora viviamo di ricordi, di bei ricordi, lo porteremo sempre con noi in ogni esperienza e soprattutto nel nostro cuore. Ciao Naum mitico poliziotto e grande calciatore tra gli Angeli.
Le insegnanti di 2B
Ora vogliamo pensare che tu stia correndo lungo campi sconfinati insieme a tanti altri bambini che come te hanno affrontato questo faticoso e doloroso percorso con forza e coraggio. Ora vogliamo credere che tu stia bene, che sia sereno e felice e che non soffra più. Naum hai iniziato un lungo viaggio, seguendo un imperscrutabile Disegno Divino e a noi rimane la speranza di incontrarti un giorno. CIAO NAUM, BUONCAMMINO!”.
Le sue maestre
PAPA FRANCESCO CI PARLA DEL DOLORE INNOCENTE
Rachele “piange i suoi figli”, ma...“c’è una speranza per la tua discendenza”
(Ger 31)
Rachele, la sposa di Giacobbe e la madre di Giuseppe e Beniamino, colei che, come ci racconta il Libro della Genesi, muore nel dare alla luce il suo secondogenito, cioè Beniamino. La sua figura ci parla della speranza vissuta nel pianto.
Il profeta Geremia fa riferimento a Rachele rivolgendosi agli Israeliti in esilio per consolarli, con parole piene di emozione e di poesia; parte dal pianto di Rachele ma per dare speranza. Scrive Geremia:
Così dice il Signore:
«Una voce si ode a Rama,
un lamento e un pianto amaro:
Rachele piange i suoi figli,
e non vuole essere consolata per i suoi figli,
perché non sono più» (Ger 31,15).
In questi versetti, il profeta presenta questa donna del suo popolo, la grande matriarca della sua tribù, in una realtà di dolore e pianto, ma insieme con una prospettiva di vita impensata. Rachele, che nel racconto di Genesi era morta partorendo e aveva assunto quella morte purché il figlio potesse vivere, ora invece, rappresentata dal profeta come viva a Rama, lì dove si radunavano i deportati, piange per i figli che in un certo senso sono morti andando in esilio; figli che, come lei stessa dice, “non sono più”, sono scomparsi per sempre.
E per questo Rachele non vuole essere consolata. Questo rifiuto esprime la profondità del suo dolore e l’amarezza del suo pianto. Davanti alla tragedia della perdita dei figli, una madre non può accettare parole o gesti di consolazione, che sono sempre inadeguati, mai capaci di lenire il dolore di una ferita che non può e non vuole essere rimarginata. Un dolore proporzionale all’amore.
Ogni madre sa tutto questo; e sono tante, anche oggi, le madri che piangono, che non si rassegnano alla perdita di un figlio, inconsolabili davanti a una morte impossibile da accettare. Rachele racchiude in sé il dolore di tutte le madri del mondo, di ogni tempo, e le lacrime di ogni essere umano che piange perdite irreparabili.
Questo rifiuto di Rachele che non vuole essere consolata ci insegna anche quanta delicatezza ci viene chiesta davanti al dolore altrui. Per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza. E se non posso dire parole così, con il pianto, con il dolore, meglio il silenzio; la carezza, il gesto e niente parole.
E Dio, con la sua delicatezza e il suo amore, risponde al pianto di Rachele con parole vere, non finte; così prosegue infatti il testo di Geremia:
Dice il Signore – risponde a quel pianto:
«Trattieni il tuo pianto,
i tuoi occhi dalle lacrime,
perché c’è un compenso alle tue fatiche
– oracolo del Signore –:
essi torneranno dal paese nemico.
C’è una speranza per la tua discendenza
– oracolo del Signore –: i tuoi figli ritorneranno nella loro terra» (Ger 31,16-17).
Proprio per il pianto della madre, c’è ancora speranza per i figli, che torneranno a vivere. Questa donna, che aveva accettato di morire, al momento del parto, perché il figlio potesse vivere, con il suo pianto è ora principio di vita nuova per i figli esiliati, prigionieri, lontani dalla patria. Al dolore e al pianto amaro di Rachele, il Signore risponde con una promessa che adesso può essere per lei motivo di vera consolazione: il popolo potrà tornare dall’esilio e vivere nella fede, libero, il proprio rapporto con Dio. Le lacrime hanno generato speranza. E questo non è facile da capire, ma è vero. Tante volte, nella nostra vita, le lacrime seminano speranza, sono semi di speranza.
Questo testo di Geremia è poi ripreso dall’evangelista Matteo e applicato alla strage degli innocenti (cfr 2,16-18).
Un testo che ci mette di fronte alla tragedia dell’uccisione di esseri umani indifesi, all’orrore del potere che disprezza e sopprime la vita. I bambini di Betlemme morirono a causa di Gesù. E Lui, Agnello innocente, sarebbe poi morto, a sua volta, per tutti noi. Il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini, delle donne. Non bisogna dimenticare questo. Quando qualcuno si rivolge a me e mi fa domande difficili, del tipo: “Mi dica, padre: perché soffrono i bambini?”, davvero, io non so cosa rispondere. Dico soltanto: “Guarda il Crocifisso: Dio ci ha dato il suo Figlio, Lui ha sofferto, e forse lì troverai una risposta”. Ma risposte di qua [indica la testa] non ci sono. Soltanto guardando l’amore di Dio che dà suo Figlio che offre la sua vita per noi, può indicare qualche strada di consolazione. E per questo diciamo che il Figlio di Dio è entrato nel dolore degli uomini e delle donne; ha condiviso ed ha accolto la morte; la sua Parola è definitivamente parola di consolazione, perché nasce dal pianto.
E sulla croce sarà Lui, il Figlio morente, a donare una nuova fecondità a sua madre, affidandole il discepolo Giovanni e rendendola madre del popolo dei credenti. La morte è vinta, e giunge così a compimento la profezia di Geremia. Anche le lacrime di Maria, come quelle di Rachele, hanno generato speranza e nuova vita.
(Papa Francesco udienza 4 gennaio 2017)
RACHELE OGGI: LE MAMME DEL GRUPPO MARIA PORTA DEL CIELO
Vedere un figlio morto ti fa morire, muori con lui ma come per lui si apre una nuova vita, la Vita Eterna, anche per te si apre una nuova esistenza fatta di essenzialità. Tutto quello che è materia non ti interessa più e invece desideri riempirti di essenza. Come il chicco di grano messo nel solco e ricoperto di terra crede di essere finito, anche per una madre che vede morire il figlio sembra che tutto sia finito e che mai potrà riavere quella creatura che lei stessa ha messo al mondo, che conosce fin nelle pieghe della pelle perché lo ha generato.
Come il chicco di grano ricoperto dalla terra gelida dell’inverno sente che si sta trasformando e crede di morire per sempre, anche nostro figlio se pur nel sepolcro si sta trasformando non sta morendo per sempre ma sta rinascendo a vita nuova. La neve e la pioggia coprono quella terra che contiene il seme e sembra che lo blocchino ancora di più e lo condannino in quell’essere sotto terra e invece, a primavera, ecco che una nuova vita nasce e buca la terra che lo ha contenuto per trovare di nuovo il calore e la luce del sole. All’inizio è solo un esilissimo filo ma è pronto a resistere al vento, alla pioggia e persino alla grandine per diventare di nuovo spiga piena di semi portatori di altra vita. La stessa cosa è per i nostri figli che, anche se sono consegnati alla terra, non sono morti ma vivono e portano frutti nuovi. Le lacrime dei genitori hanno nutrito la terra che accoglie il figlio e hanno trasformando la bara in una culla permettendo alla vita di avere l’ultima parola sulla morte.
“Se il chicco di grano non muore non porta frutto” (cfr. Gv 12,24); la Parola di Gesù ancora una volta ci guida a capire e vivere un’esperienza tra le più estreme del dolore, un dolore così penetrante da essere un tutt’uno col padre o la madre che lo sta vivendo. Quella che vivi non è una croce che puoi anche passare a qualche cireneo o appoggiare per prendere respiro, è una croce incarnata nella tua carne perché quello che hai portato alla sepoltura è una parte di te. Il Padre nel Suo infinito Amore non ci ha lasciati soli a vivere tanto dolore, ci ha donato la Madre di suo Figlio che ha vissuto prima di noi tutto questo e ci è di esempio, è il faro a cui guardiamo nella tempesta che viviamo dopo la morte di nostro figlio. Maria ci porta Luce nel buio e ci tiene per mano e addirittura a Lei possiamo consegnare nostro figlio che ora vive nella Pace.
L’essenza del messaggio della morte di ogni figlio è che il figlio non è morto per sempre ma VIVE per sempre, l’ultima parola per ciascun uomo non è morte ma VITA ETERNA.
Il dolore di Rachele non ha messo fine a un popolo ma, se pur straziante, è stato fertilizzante per donare nuovo slancio a quel popolo e renderlo ancora più forte. Così è per ciascun genitore che si sente morire quando vede il figlio senza vita ma, se consegna il suo dolore e la sua sofferenza al Padre e a Maria, lo vedrà fiorire in nuova vita. Come nel deserto sembra non esserci vita ma basta poca pioggia per fare germogliare in splendidi fiori dei semi che vivono sotto la sabbia, così le nostre lacrime trasformano l’aridità dei nostri cuori bruciati dal dolore in terreno fertile portatore di nuova vita.
Margherita mamma di Paolo
Rachele rappresenta la sofferenza di tanti madri che perdono un figlio, un dolore inconsolabile perché nessun gesto umano può lenirlo. La nostra cara Mamma Celeste è l’unica che ci può consolare in quanto ha visto il suo amato Figlio morire sulla croce per salvarci. La sofferenza di Gesù è stata atroce, ma la sua cara Mamma gli è stata sempre accanto fino al suo ultimo respiro. Così anche per noi la Madonna ci è di guida perché, pur nella sua grande sofferenza, ha sempre avuto fede e ci indica come certezza la Resurrezione di Gesù; solo così sentiamo che i nostri figli vivono nella Sua pace e serenità eterna. Il dolore è talmente forte che solo con l’aiuto di Dio riusciamo a conviverci, più ci riempiamo di Cielo e più siamo vicini ai nostri figli.
Antonella mamma di Loris
All’inizio del doloroso cammino di distacco da un nostro figlio, il dolore pare inconsolabile, non si accetta in alcun modo. Una delle cose più difficili diventa pertanto trattare con questo tipo di dolore, per cui ci vuole tanta delicatezza nel misurare le parole perché la sensibilità di questi genitori aumenta a dismisura; mentre, come dice il Papa, i gesti acquistano molta più importanza. Un abbraccio forte magari accompagnato da un pianto sincero, vale più di tante parole. L’esserci con tanta discrezione, sicuramente è gradito da un genitore provato.
Romana mamma di Paola
I genitori che passano attraverso questo dolore, gradualmente imparano un linguaggio nuovo e questo è il linguaggio del silenzio. Uno sguardo sincero, che non sia di compassione, perché questo ferisce ancor di più, diventa quasi un balsamo, è come uno spioncino sull’io segreto che ognuno ha dentro, lì dove solo la persona singola è libera di lasciar entrare chi vuole. Quanto Amore si può donare anche solo con uno sguardo.
Marzia mamma di Christian
Per noi mamme provate dal dolore della perdita fisica di un figlio, inizia il tempo di una nuova maternità, dove diventano i figli capaci di educare i loro genitori. Quante volte mentre erano fisicamente presenti, non si comprendeva appieno il loro effettivo valore, anche per i motivi più disparati. Poi tutto d’improvviso si rinasce con loro in modo diverso, in modo forse più pieno perché loro sono SEMPRE con noi, non più limitati da un orologio, dallo spazio e dal tempo. Loro IN noi e noi IN loro ovunque, sempre, giorno e notte. Un dialogo dove diventa necessario il silenzio, perché nel silenzio si ode meglio la loro voce. Quante volte tutto il resto rischia di disturbare questo dialogo che, comunque non ci deve far correre il rischio di isolarci, ma di cogliere i veri valori che contano.
Paola mamma di Giovannino
Dopo la morte di un figlio sembra di cadere in un buco nero così profondo da non riuscire a vedere e toccare mai il fondo. Solo l’aiuto della fede e guardando attentamente, si può iniziare intravvedere un po’ di Luce. Luce che ci viene donata dall’Amore di Dio e della nostra Mamma Celeste che ogni mamma sente molto vicina perché anche lei in prima persona ha vissuto la morte di Suo Figlio. Ogni genitore provato, che tuttavia permette a Dio di entrare nel Suo dolore, per quanto la prova sia dura e difficile da superare, si entra però progressivamente nella certezza di far parte di un “Progetto” che porterà tutti alla Vita eterna. Questa è una Sua promessa e il Signore non delude coloro che in Lui confidano.
Piera mamma di Nicolas
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