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FOTO PIERGIANNI RIVETTI

Amore per la lettura

Mamma Teresa: “ Legge molto, si confronta con il pensiero dei grandi filosofi; gira portando sempre con sé un taccuino per prendere eventuali appunti su quello che ascolta, ai quali spesso aggiunge osservazioni personali. È uno spirito in costante ricerca di conoscenza, vorrebbe riuscire a comprendere qual è il fine della vita e scoprire il suo compito specifico. Impara presto che se uno conosce solo cento parole e un altro, invece, ne conosce mille, ha molte più possibilità del primo. E allora si impegna a utilizzare al meglio il suo tempo e le sue risorse. Valorizza quel “seme” caduto in lui negli anni della sua formazione scolastica. Lo Spirito lavora nel segreto del suo cuore”.

L’Amico Dago

Mamma Teresa: Un altro tassello molto importante per disegnare il ritratto di Filippo riguarda il suo rapporto con gli animali. Fin da piccolo dimostra di avere un grande interesse verso questo mondo. Non perde documentario o trasmissione televisiva che tratti questo argomento, è interessato a qualsiasi specie animale,anche se i suoi preferiti rimangono però i cani e i gatti. Soprattutto i felini lo attraggono particolarmente. C’è una foto bellissima che lo ritrae in spiaggia mentre abbraccia felice un cucciolo di leone. Coltiva questa sua passione leggendo libri e riviste ed è sempre pronto ed entusiasta nel rispondere alle domande di chi gli chiede qualcosa sull’argomento. Ahimè, c’è purtroppo un ostacolo non da poco che gli impedisce di mettere in pratica questa grande passione per il mondo animale: la mamma non vuole che girino animali per casa! Filippo inizia a collezionare pelouche a forma di animali, tant’è che tutt’ora ne conservo ancora una valigia piena! Un giorno, però, accade la svolta. Nel giugno 2005, con mio marito, andiamo tre giorni al mare. Al ritorno veniamo accolti da Filippo che, tra un velo di imbarazzo ma con assoluta decisione, mi comunica: “Mamma, con Antonio abbiamo adottato un gattino, è un maschio, è grigio e l’abbiamo chiamato Dago, proprio come l’eroe dei fumetti. Non ti darà fastidio, vedrai, ci cureremo noi di lui!”. Questa volta davanti al fatto compiuto e alla dolce insistenza di Filippo, cedo e Dago entra a far parte della nostra famiglia. Filippo è molto felice anche se, purtroppo, riesce a godere molto poco della compagnia di Dago, perché dopo un paio di mesi viene chiamato alla Casa del Padre. Se prima non volevo animali in casa, ora che Filippo non c’è più fisicamente, mi affeziono tantissimo al gattino perché vedo in questo animaletto qualcosa di vivo che mi ricorda il figlio. Purtroppo anche Dago, dopo tre anni e mezzo, un giorno esce di casa e non fa più ritorno. Ha probabilmente seguito il richiamo istintivo della sua natura. Nonostante la consapevolezza che sia solo un animale, l’inaspettata scomparsa di Dago mi causa un grandissimo dispiacere a tal punto da subire addirittura una crisi d’asma. Anche questo episodio diventa  comunque importante nel mio cammino di fede e un motivo in più per aggrapparmi con forza alla “tavoletta di salvataggio” di cui parlerò più avanti. Di qui tutto passa. Solo Dio resta!”.

Lasciare un segno

Mamma Teresa: “ Un giorno, a distanza di qualche mese dal ritorno di Filippo alla Casa del Padre, mi trovo a passare davanti ad un certo Rinaldo. Mi fermo e gli chiedo: Si ricorda di quel ragazzo con cui vi trovavate al bar Principe? Rinaldo si ricorda. Pertanto gli racconto che cos’è avvenuto. Quest’uomo è un clochard che frequenta ogni giorno questo bar, situato vicino alla scuola frequentata da Filippo, il liceo scientifico Galileo Galilei, e nostro figlio si ferma più volte a parlare con lui, consuma qualcosa insieme e il dialogo  si fa interessante, motivo per cui, abbastanza spesso, entra in classe con un po’ di ritardo. Il professore lo richiama e lui candidamente risponde: Dovevo finire il discorso iniziato con Rinaldo! Rinaldo ascolta commosso mamma Teresa e al termine del discorso, dice: Adesso che  conosco anche lei, capisco perché suo figlio era così!”.

Il cuore nel canto in viaggio

Papà Lorenzo: “ Filippo ama molto la musica in genere ma i suoi preferiti sono i cantautori in quanto poeti, perché da loro coglie molti spunti per vivere il quotidiano con uno sguardo che non sia superficiale. Questa passione la esprime anche con il disegno e con l’insopprimibile desiderio di conoscere sempre di più. Portato per le lingue straniere, sia per approfondire la propria istruzione sia per desiderio di conoscenza, inizia molto presto a viaggiare. Un suo grande desiderio è andare in Perù: è profondamente attratto da questa terra e dalla sua popolazione. In Perù non riesce ad andarci personalmente. Alcuni suoi amici tra cui Matteo e Manuel, però, memori di questa sua aspirazione, appena questo sogno cullato anche da Filippo diventa possibile, riescono a recuperare la caparra per un viaggio in America. Tale viaggio sarebbe stato realizzato una settimana dopo l’incidente. Contattano una congregazione di suore che lavorano laggiù, passano da loro e lasciano in suffragio la caparra di Filippo e una sua foto. È un gesto simbolico che mira a soddisfare il sogno del loro Amico. La foto viene posta nella classe dei piccoli, i “Ninia Maria”, così anche in Perù il nostro Filippo lascia il segno della sua bontà e del suo sorriso.

I piccoli sono attratti dai piccoli

PAPÀ LORENZO: “ Un altro suo tratto inconfondibile è la sua passione per i piccoli. Non è esagerazione sostenere che l’attrazione è reciproca. Lui “adora” stare con i bimbi e i bimbi gioiscono di stare con lui. Gioca, ride, scherza, racconta qualche aneddoto divertente per poi trarre sempre qualche salutare insegnamento. Insomma un Amico grande che sa adattarsi anche al mondo dei più piccoli. E poiché i bambini “sentono con gli occhi”, per loro non è difficile comprendere che questo giovane dal volto buono vuole loro bene e sta bene con loro proprio perché lui stesso ha custodito dentro di sé lo spirito d’infanzia. Sicuramente stando con i fanciulli faceva emergere la parte religiosa di sé, quella trasmessa innanzitutto dalla sua famiglia e poi quella data dalle suore Salesiane frequentate negli anni basilari della sua formazione umana. Anche se la sua fedeltà alla vita sacramentale non sempre è così evidente, tuttavia il suo modo di essere rispecchia ciò che è dentro. Gesù stesso afferma: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”. (Mt 7,21) La luce che Filippo lascia in chi lo incontra è sicuramente più forte di tante parole.

Nizza Monferrato - Torino - Shefield

Mamma Teresa: “  Il tempo trascorre velocemente. Filippo termina il liceo scientifico a Nizza, trascorre serenamente l’estate e nell’ottobre del 2002 entra nel mondo Universitario a Torino dove frequenta il corso di SAA, Scuola di Amministrazione Aziendale. L’ultimo anno lo fa in Inghilterra appunto a Shefield. Filippo è già proiettato verso il mese di settembre dove lo aspetta la discussione della tesi. E qui voglio raccontarvi un aneddoto, per me molto importante. Una sera, dopo cena, mentre sto sbrigando le faccende di casa, mio marito e l’altro nostro figlio, Antonio, sono seduti sul divano a guardare una partita, Filippo, com’era sua solito, viene in cucina e mi racconta una cosa che io “capirò” solo più tardi. Ha deciso di frequentare un breve corso di sopravvivenza e l’istruttore, tra le altre cose, spiega loro che “nel momento del pericolo, non si salva chi è più forte, ma chi è più resistente”. E spiega il  concetto di resilienza con un esempio che rimane impresso a Filippo. Se sopra una nave che sta affondando per un’improvvisa falla, si trovano dieci uomini forti e una donnina esile, non è scontato che si salvino i primi e affondi la seconda, solo perché si conta sulle proprie forze. I primi, in attesa dei soccorsi, si gettano in mare e nuotano con tutte le loro forze fino all’esaurimento. Terminate le forze fisiche, stremati, si lasciano andare e annegano. Al contrario, la donnina esile non sa nemmeno nuotare, ma usa l’intelligenza per provare a mettersi in salvo. Vede una tavolozza di legno, vi si aggrappa con le poche forze che ha e rimane in speranzosa attesa dei soccorsi. Questi arrivano e finalmente traggono la donna in salvo. Ascolto con interesse quanto mi racconta, lo inserisco nella memoria, ma  tutto si ferma lì perché passiamo ad altri discorsi. Da lì a non molto, andrò a “rileggere” quell’aneddoto, ma sotto una luce completamente diversa.

Venerdì 19 agosto 2005

Papà Lorenzo: “Per comprendere quanto accade quel venerdì, è necessario ritornare a giovedì 18 agosto. Io e mia moglie Teresa siamo nella località turistica Toscana di S. Lorenzo a mare; Antonio è a casa con la nonna paterna. Filippo esce per andare alla festa di paese a Castelboglione (AT). Si diverte come suo solito con gli amici e, ad un certo punto, guardato l’orologio, ahimè si accorge che si è fatto tardi e prende la via del ritorno a casa. Non c’è molta strada da fare perché Nizza e Castelboglione sono abbastanza vicini. Mancano pochi metri per arrivare a destinazione e, forse a causa di un malore dovuto a congestione ( quella sera era stata particolarmente fresca e Filippo aveva partecipato ad una  cena all’aperto sotto le stelle), oppure a causa di un colpo improvviso di sonno, sta di fatto che Filippo arrivato ad una rotonda, invece di fermarsi e prenderla circolare, purtroppo tira dritto, materialmente la scavalca e va a sbattere contro la ringhiera di un’abitazione lì vicina. Sono le 03,00. Subito soccorso e immediatamente rianimato, viene trasportato urgentemente all’ospedale Cardinal Massaja di Asti e lì Filippo impugna tutta la sua resilienza e lotta tenacemente per la vita. Tuttavia, avendo battuto violentemente testa e stomaco, le speranze si riducono al lumicino e, verso le ore 06,00 del 19 agosto 2005, il nostro gladiatore da questo mondo passa al Padre. Dai giardini della terra passa a quelli del Cielo. Dalle musiche della terra, ora, si sta specializzando in quelle del Cielo dove ha l’eternità davanti per poterle approfondire accuratamente. La sua ricerca sul senso della vita approda ora a soddisfare ogni domanda per la quale ha cercato, studiato, pregato, scrutato nei 21 anni che gli sono stati donati.

Combattere la Buona Battaglia

Mamma Teresa: “ Da quel giorno nella nostra famiglia è cambiato tutto! Se prima il cielo era sereno, all’improvviso è diventato buio pesto e questo buio rimane e ci accompagna per un bel po’. Le domande si accavallano nella testa, i dubbi sembrano fare da padroni e le lacrime rimangono quasi l’ultimo sfogo davanti alla realtà. Solo la luce della fede ci aiuta ad andare oltre aprendo il cuore alla speranza. Si prega, si riflette, si lotta per quanto umanamente possibile, per ritrovare un po’ di serenità in mezzo a questo mare in tempesta. Intanto il tempo trascorre inesorabile  e ci aiuta a crescere, apre nuovi orizzonti. Nella nostra famiglia il clima è di un dolore che sa accogliere l’Amore dato e ricevuto.

Quindi fecondo. Tuttavia essendo persone umane, fragili e forti contemporaneamente, io comincio ad accusare momenti di stanchezza che sembrano portarmi alla resa. Lotto con tutte le mie forze, non voglio mollare! Ma ecco che mi arriva un’inattesa risposta. Quasi sicuramente un dono di Filippo che invoco quotidianamente. Mentre la testa si arrovella nei pensieri più disparati, ecco che nel cuore mi ritornano, invece, le parole di quella sera della primavera del 2005, quando mi raccontava del corso di sopravvivenza: “ Mamma sai che nel momento del pericolo non si salva chi è forte, ma chi ha più resistenza?”.

E penso a quella donna esile che si aggrappa alla tavola di legno e riesce a salvarsi. Mi sembra che sia proprio Filippo a suggerirmi la nuova via da imboccare, per non soccombere sotto il peso della sofferenza: “Mamma da sola non ce la fai. Dopo che hai esaurito le tue povere forze cedi. Aggrappati forte al legno della Croce e ce la fai a superare questa dura prova!”. Ascolto Filippo e mi dedico ad una più intensa vita di preghiera. Approfondisco la Sacra Scrittura, partecipo a giornate di ritiro spirituale, frequento diversi santuari in prevalenza mariani.

Con la Mamma Celeste ci comprendiamo bene perché anche Lei è passata per questa strada; mi affido teneramente a Lei, che mi aiuta ad affrontare il “terribile quotidiano”. Tutto cambia e, intanto, nel cuore, la nostalgia di rincontrare Filippo in Paradiso, cresce di giorno in giorno. Aiutata da lui, insieme a mio marito, a nostro figlio Antonio e al gruppo Maria Porta del Cielo, desideriamo spiccare sempre più il volo verso l’Alto, verso le vette dell’Amore puro. Anch’io, quando arriverà quel giorno, voglio poter dire come S. Domenico Savio, quando giunto sul punto di addormentarsi per sempre, spalancando gli occhi pieni di luce disse: ”Che bella cosa io vedo!”. Così anche noi vogliamo credere che dopo “questo esilio” rivedremo Filippo insieme a Gesù, a Maria e a tutti coloro che abitano la Celeste Gerusalemme. Sta scritto infatti: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito” (1 Cor 2,9-10).

 
 RACCONTO

Il Natale prima di lasciarci Filippo regalò alla sua mamma un libro di storie e ricette di Sicilia : “ Alla tavola di  Yasmina” che non è altro che una serie di   racconti d’amore e di abbandono all’invenzione fantastica.
Vi proponiamo il primo dei sette racconti, è stupefacente come il suo contenuto sembri un messaggio.

L’amore materno

“C’era una volta una donna che aveva perso il suo figliolo ancora giovane e forte in un incidente di caccia. Caduto da cavallo, era stato divorato da un orso sui monti Nebrodi….”
Il conte sussultò nell’udire quest’ultima frase, ma non disse niente: sulla tavola era stata appena posata un’immensa zuppiera di porcellana,dal cui contenuto cremoso e dorato, che non poteva non ricordargli la pelle intravista poco prima, emanava un profumo che produceva un effetto immediato:lo stomaco del signore gorgogliò a lungo. Mentre la principessa, in ginocchio dall’altro lato della bassa tavola,riempiva una scodella di porcellana di questo pesante liquido color terra di Siena pallido, Ruggero riuscì bene o male ad incrociare le gambe e si appoggiò sui cuscini aspettando il seguito.
“Questa madre amava di un amore infinito suo figlio,il preferito di una numerosa prole di maschi. Infatti aveva già rischiato di perderlo quand’era piccino, a causa di una misteriosa malattia che lo aveva indebolito molto. Il fanciullo era sopravvissuto grazie alle cure affettuose della madre che lo aveva nutrito come si nutre un cucciolo malato, imboccandolo dolcemente con piccolissime quantità di pietanze che lei stessa preparava apposta per lui. Così, a poco a poco, il ragazzo aveva ritrovato l’appetito e ripreso le forze, il sorriso e la gioia erano tornati sul suo viso e con essi la buona salute, la felicità della madre e di tutta la famiglia che avevano corso il rischio di perderlo. E si era rimesso talmente bene grazie alle cure materne, da essere diventato più forte degli altri, più coraggioso e spericolato. La sua grande passione era la caccia sui monti Nebrodi, dove si recava per delle spedizioni che duravano anche settimane, in compagnia di una banda di giovani signori che come lui amavano le lunghe cavalcate, le notti al bivacco intorno a grandi falò su cui i servi arrostivano enormi quantità della selvaggina cacciata durante la giornata.
“Accadde pero che, durante una di queste battute, una delle più ricche per bottino, eccitato dall’accumularsi delle prede che cadevano continuamente sotto le frecce e le sue lance, il giovane si avventurasse in una zona particolarmente accidentata. E che, a furia di intestardirsi ad inseguire un orso, precipitasse con tutto il cavallo in un dirupo che si era aperto all’improvviso sotto di lui. Quando i sui amici lo ritrovarono, l’orso l’aveva mezzo divorato…”
Posando il cucchiaino, Ruggero sollevò la scodella con tutte e due le mani e leccò quel che restava della crema.
“In fede mia, questa zuppa è squisita, ci ritornerò” disse posando il piatto con aria rapita; poi afferrò una palla dorata, profumata e tiepida, da uno dei numerosi vassoi che i servitori avevano posato mentre Yasmina parlava. “Voi raccontate a meraviglia, ma perchè non assaggiate nessuna delle pietanze, gentile signora? “
Non era solo la cortesia a dettare la domanda. Il conte ardeva dal desiderio di vedere le labbra di questa donna la cui voce lo ubriacava (e fortuna che c’era la voce, perché negli acquamanili non si vedeva niente da bere, tranne dell’acqua ed un liquido che sembrava latte). Dallo strizzare degli occhi dietro il velo, egli indovinò che lei sorrideva.
“Non è nelle nostre abitudini che le donne oneste mangino alla stessa tavola degli uomini. Dubitereste, come il vostro ammiraglio, che i piatti che vi servo contengano qualche veleno, filtro o stregoneria?”
“Affatto” disse Ruggero masticando con delizia la palla, dove il riso morbido mescolato a croccanti piselli riservava la sorpresa d’un cuore di formaggio fondente sotto le carezze della lingua. “La reputazione della vostra saggezza è giunta fino a me, quindi avrete sicuramente pensato a cosa succederebbe se mi accadesse una disgrazia. I miei uomini hanno ricevuto degli ordini. Voi, vostro fratello, la vostra famiglia ed una buona parte dei notabili mussulmani morireste, giustiziati in massa o torturati a morte… E quanto ai sopravvissuti, la loro sorte sarebbe, forse, anche peggiore: i loro beni confiscati o distrutti dal fuoco, i loro pozzi avvelenati, le loro spose e figlie disonorate dalla soldataglia, e loro stessi castrati e ridotti in schiavitù…”
Queste crudeli ipotesi furono esposte con tono bonario ma con un eloquio un po’ impastato, perché il conte di Sicilia mangiava mentre parlava, masticando la metà di un’alta palla dorata che teneva con la mano sinistra (e che gli aveva svelato il segreto di una carne succosa in fondo al cuscino di riso allo zafferano profumato di alloro) mentre la mano destra, tesa verso una piramide di spiedini, ne afferrava sei in un sol colpo.
Le pieghe agli angoli dei grandi occhi blu erano scomparse. Le ciglia immense di Yasmina fremettero come un nugolo di uccelli proprio prima del volo, e quando lei riprese, nella sua voce era percettibile una sottile incrinatura.
“Così la spoglia orribilmente mutilata del giovane venne restituita alla madre incredula… Prima che un intero giorno fosse trascorso, come vuole la santa legge del Corano, il corpo fu sepolto nella terra e la madre cominciò a rendere regolarmente visita al cimitero dove riposava il figlio, la cui anima felice godeva del paradiso che Dio riserva ai suoi fedeli. Ogni giorno, la donna si recava sulla tomba – un magnifico mausoleo in marmo rosa e porfido, dalle pareti incise come un  merletto di iscrizioni in lode a Dio o in memoria dei meriti del defunto. Ogni mattina,un vero corteo si muoveva dalla casa alla tomba, perche la madre era accompagnata da tre serve e da un eunuco che trasportavano ceste e orci. Giunti sul posto, poggiavano a terra il loro fardello, ed i panieri venivano svuotati con attenzione del loro contenuto: una grande abbondanza di deliziosi manicaretti che la donna continuava a preparare con le sue mani per l’adorato figlio, proprio come quando era malato.
“  Tutti pensavano che la povera donna avesse perduto la testa e la compiangevano per il suo comportamento, ma intanto, ogni giorno, lei cucinava e cucinava ancora, e la quantità di piatti aumentava. La sera, metteva a bagno le fave per il maccu di due giorni dopo…”
“Il maccu?” interruppe il conte sputacchiando un po’. “Capisco solo qualche parola di arabo e questa mi è sconosciuta…” “Non è arabo. Il mio popolo ha riversato su questa terra un’infinità di meraviglie che vi hanno prosperato. Il limone che voi avete gustato poco fa nello charbat, e i suoi cugini: l’arancia, il bergamotto, il cedro. Tutti questi agrumi sono i nostri abili contadini che li fanno crescere nella Conca d’Oro, dopo averla bonificata con una sapiente rete di canalizzazione che viene perfettamente mantenuta da due secoli. Sono loro che hanno fatto crescere la canna da zucchero di cui voi avete gustato il succo mescolato alla neve della granita ed il riso di cui sono fatte queste palle fritte che, con mio grande piacere, sembrano dilettarvi,e così pure il gelsomino che profuma la campagna e tante altre piante di cui forse ignorate l’esistenza e che Dio  ha permesso al mio popolo di incontrare nelle diverse contrade che ha percorso per diffondere la Vera Fede:il cotone,le albicocche, le pesche,il carrubo,il pistacchio,il sesamo e tante altre ancora… ma la fava, no: il maccu è la zuppa di fave,che si consumava già su questa terra quando vi siamo sbarcati…”

 
 

 

AVANTI

 

 

 


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