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salvezza, Cristo Gesù, tentando così di incarnare l’espressione di S. Paolo: “mi sono fatto tutto a tutti, pur di salvare ad ogni costo qualcuno”. (1 Cor 9,22). Ancora il fratello Fabio specifica: “Fabrizio si dedicò anima e corpo al ministero sacerdotale dando particolare attenzione ai giovani, soprattutto ai bambini con i quali riusciva ad instaurare un dialogo silenzioso ma ricco di significato. Si avvicinava agli adolescenti attraverso la tecnologia; grazie al perfetto utilizzo del pc e una passione innata per la radio, tanto da fondarne una dalla quale trasmetteva, nel vero senso, la Parola di Dio associata alle canzoni più in voga del momento. Creò inoltre un sito internet personale (donfabrizio.it) dove di domenica in domenica anticipava la lettura del Vangelo per commentarla e per commentare con tutti.
Nella sua pagina c’è una “storia per riflettere” dove narra di un seme che morendo da vita a molti altri semi, quasi come avesse voluto annunciare in anticipo il frutto del suo sacrificio”.
“È venuta l’ora in cui il Figlio dell’uomo dev’essere glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di frumento non cade per terra e non muore, resta solo; se invece muore, porta molto frutto. Chi ama la propria vita la perde; e chi odia la propria vita in questo mondo, a conserva per la vita eterna”. (Gv 12,23-25)
La testimonianza di uomo e di sacerdote di “don Sorriso”, così etichettato da tante personechehanno la gioia di incontrarlo, di conoscerlo, è un vivo invito a seguire il suo esempio, a divenire anche noi coraggiosi discepoli del Signore, autentici messaggeri della sua Parola. Don Sorriso ci esorta a uscire dal nostro egoismo e individualismo per testimoniare a tutti la misericordia del Padre, che si manifesta a noi nella tenerezza di un Bambino e nella potenza consolatrice dello Spirito Santo. Purtroppo, dopo appena due anni la sua ordinazione, nell’ottobre del 2010, il suo lieto ministero subisce una battuta d’arresto. Da esami e accertamenti clinici gli viene diagnosticata una rarissima malattia. Don Fabrizio è chiamato a unire le sue sofferenze a quelle di Cristo Crocifisso e fare esperienza che Gesù ci ha redenti dal male e dal peccato fino a offrire la sua vita per la salvezza di molti.
IL MISTERO SAVIFICO DELLA CROCE
“Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa. di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio presso di voi di realizzare la sua Parola”. (Col 1,24-25)
E’ il fratello Fabio a parlarci di questo capitolo, doloroso e glorioso insieme:
“Ecco arrivare un fulmine a ciel sereno. E’ lunedì 4 ottobre 2010 e don Fabrizio celebra il matrimonio di nostro fratello maggiore Francesco, nello stesso giorno del suo onomastico. Non dimenticheremo mai questa funzione. Fabrizio piange dall’inizio alla fine, ma con un pianto inspiegabile, quasi di disperazione, tanto che a fatica riusce a terminare la celebrazione .Rivedendo il filmato, ancora oggi non riusciamo a capire quella quasi disperazione del suo pianto. O meglio, forse adesso iniziamoper lo meno a intuireil dolore che celava mio fratello. Il giorno dopo il matrimonio, martedì 5 ottobre, ricorrenza mensile della festa della Madonna della Neve, don Fabrizio, dopo essere sceso per la prima celebrazione, ritorna a casa lamentando un forte dolore toracico che gli toglie perfino il respiro.
Preoccupati per le sue condizioni e per una predisposizione famigliare a patologie coronariche, andiamo all’ospedale S. Anna e S. Sebastiano a Caserta dove, dopo parecchie ore e molteplici sue perdite di conoscenza, gli diagnosticano una pericardite, ossia la formazione di liquido intorno al cuore. Questa diagnosirichiede un ricovero urgente in un ospedale attrezzato con il reparto di cardiochirurgia. Se mai questo liquido aumentasse ulteriormente arriverebbe a comprimere il cuore, con esito fatale.Fabrizio viene pertanto trasferito al policlinico Monaldi di Napoli. Dopo circa una settimana e senza ausilio di alcun intervento, se non farmacologico, tutto sembra essersi risolto. Durante un ultimo controllo prima della dimissione, il medico scopre casualmente una formazione solida all’interno del cuore. Da questo momento inizierà per Fabrizio un vero e proprio calvario che affronterà sempre con silenzio disarmante e con il solo rammarico di non poter svolgere il suo servizio.
Subìto un primo intervento chirurgico riguardante l’asportazione della parte del cuore su cui aveva fatto presa la massa tumorale, riceve purtroppo un infausto esito dell’esame istologico: Angiosarcoma miocardico. Seguono lunghi periodi di chemioterapia e radioterapia, eseguiti inizialmente a Milano all’Università degli studi. E’ in questo periodo che la potenza di Dio inizia a manifestarsi.Infatti nei giorni della chemioterapia, don Fabrizio, non appena terminata la seduta, chiede di ritornare in seminario, dove vuole pernottare nonostante gli effetti collaterali dei medicinali.
Passa il tempo e per grazia di Dio i successivi controlli clinici dimostrano una scomparsa totale della malattia.
Purtroppo, però, dopo un anno e mezzo, nel corso di una semplice ecografia cardiaca di controllo, si nota una ripresa della malattia, nello stesso punto della volta precedente.
Per la seconda volta mio fratello si trova ad affrontare il Calvario, ma questa volta con una croce ben più pesante. L’intervento precedente e le terapie effettuate in passato rendono quasi impossibile un nuovo trattamento. Nonostante questo i medici, vista la sua giovane età, fanno un tentativo disperato. Una radioterapia chirurgica rischiosissima, con una dose massiva di radiazioni, la Ciberknife, presso l’ospedale Careggi di Firenze, doveFabrizio resta ricoverato per quasi un mese.Strappato ancora una volta alla sua gente e alle sue attività, Fabrizio non si scoraggia: infatti non perde occasione di celebrare la S. Messa in qualunqueposto sia possibile.
Sembra che per mio fratello ci siano segnali di ripresa, per lo meno fino al mese di luglio dell’anno successivo. Poi, ahimè, un esame rivela la compromissione del fegato e della milza. Da quel momento è accaduto di tutto … e non mi riferisco alla sola componente patologica umana. Da quel giorno, io e la mia famiglia, che abbiamo avuto il dono di seguirlo nella malattia, abbiamo visto Cristo nella nostra casa e sul volto di Fabrizio. Nonostante l’atroce sofferenza è sempre sereno, molto più di noi.
Chiunque venga a trovarlo ama stargli vicino. Quante volte il nostro amato Cardinale viene a visitarlo per portargli consolazione e Amicizia! E i suoi confratelli? Veri “Angeli custodi”, apportatori di Amicizia, fanno a gara per esserci e sempre con la massima discrezione e viva partecipazione. Spesso si chiudono nella sua stanza,dove conversano cuore a cuore. La sua camera praticamente diventa un vero e proprio Santuario. Quante volte, purtroppo, trovandoci davanti ad un ammalato, siamo tentati di fuggire quanto più lontano possibile, affinché quel dolore non raggiunga anche la nostra quotidianità. Noi, invece, riusciamo a star “bene” persino in questa sofferenza e percepiamo uno strano senso di piacere.Fabrizio, a dispetto del suo abituale carattere riservato, in questo periodo della sua malattia si è fatto quasi “caciarone”,allegro, sempre gioioso.
Riesce a divertirsi e di cuore, con poco. È in questo tempo di Calvario che scrive un’omelia molto significativa; ogni pensiero è paragonabile ad un raggio di Luce che illumina il buio della notte del dolore. È un vero intarsio di Amore per la vera Vita. Prima di arrivare all’epilogo glorioso della sua storia sacerdotale, ci sediamo e ascoltiamo ancora questa sua magistrale “catechesi di Vita!”.
IL MEGLIO DEVE ANCORA VENIRE!
“Che c’è dopo questa vita? Com’è fatto l’aldilà? Ritroveremo i nostri cari che ci sono mancati, e come saranno? Li riconosceremo? E noi come saremo: giovani, vecchi, per sempre nell’età del trapasso? E avremo lingua e orecchie per parlarci, e braccia per stringerci, e cuore e occhi per sorriderci? E che faremo per quel lunghissimo tempo senza fine? Sembrano domande ingenue, fatte da bambini al termine di una fiaba raccontata per conciliare sonno e sogni.
Queste e tante altre domande continuano ad accompagnare i nostri giorni, anche da adulti e da vecchi, e nascondono la grande, ineliminabile, domanda: cosa c’è al termine della strada: il nero abisso del nulla o un bellissimo parco fatato? Alla grande domanda Gesù offre una risposta chiara, netta, assolutamente singolare, senza nulla concedere alla curiosità di questi oziosi, senza perdersi dentro i labirinti delle ipotesi più lambiccate. Nella Prima Lettura avete assistito al supplizio (siamo nell’Antico Testamento, sebbene verso le soglie del Nuovo, cioè verso la fine dell’Antico Testamento) di un’intera famiglia, giustiziata perché non vuole lasciare le tradizioni religiose dei padri.
Questi sette figli – il testo è del Libro di 2 Maccabei capitolo 7 – muoiono tutti senza rinunciare alla fede, offrendo anche il sacrificio della vita. Nel Vangelo, invece, ci sono sette mariti che sembrano contendersi una donna. (Cfr. Mc 12,18-27) Anche qui sono sette, ma con un’altra idea: l’idea che la vita futura possa essere una fotocopia di questa. Speriamo di no – credo e spero che anche voi lo speriate insieme con me – cioè speriamo che la vita eterna non sia una fotocopia della vita terrena, e perché? Perché la vita qui è bella, grandiosa, ma ci sono anche tante difficoltà, ci sono anche tanti bisogni, ci sono anche tante limitazioni, tante prove, tanti dolori. Allora, quando diciamo “speriamo di no” , non intendiamo deprezzare questa nostra vita, che è bella, che bisogna cercare di vivere appieno, ma speriamo – ed è Gesù che ci invita a questa speranza – che ciò che ci attende sia di gran lunga migliore di ciò che abbiamo adesso.
A quel tempo c’era divisione tra sadducei e farisei. I primi che, ricordiamo, erano conservatori dell’alta borghesia e ammettevano solo la legge scritta – negavano la fede nella sopravvivenza dell’anima e nella resurrezione, che invece era affermata dai rabbini – gli scribi, o maestri della legge – e dai farisei. Alcune correnti però, concepivano la resurrezione in forme molto materiali: “i defunti risorgeranno nella loro corporeità originaria, così come furono seppelliti affinché li si possa riconoscere. Risorgeranno con i loro vestiti, con le stesse malattie e infermità: i ciechi, i sordi, i muti risorgeranno e verranno guariti solo più tardi.
Come al solito, la domanda dei sadducèi è tendenziosa: raccontano una storiella grottesca per mettere in ridicolo la possibilità stessa di risurrezione. E, come al solito, la risposta di Gesù spiazza completamente i suoi interlocutori. Innanzitutto il maestro di Nazareth li smarca, contraddicendo a quelle idee grossolane dell’aldilà che essi vorrebbero attribuirgli, e che, caso mai, sarà condivisa dai farisei, ma non certo da lui. Gesù non ci sta proprio a farsi rinchiudere in quell’ottusa caricatura: nell’aldilà non ci si marita né ci si ammoglia: punto! L’aldilà non è una sorta di aldiquà prolungato all’infinito: è un mondo diverso, con una vita diversa, che verrebbe da rassomigliarla a quella degli angeli.
Ma subito Gesù prende in contropiede i sadducèi poiché essi sono dei rigidi fondamentalisti ed ammettono come Sacra Scrittura solo i cinque libri del Pentateuco e cita a sorpresa proprio un passo di quei libri, Es 3,6: un testo su Dio e non sulla risurrezione. Se Dio si è rivelato a Mosè come il Signore che ama i suoi figli indefettibilmente, non può assolutamente abbandonare i suoi figli in potere della morte! Sì, la fede nella risurrezione è scandalosa, ma fa un tutt’uno con il nocciolo duro del cristianesimo. Infatti, se Cristo non è risorto, è vana la nostra fede; e d’altra parte, se non esiste risurrezione dai morti allora bisogna concludere che neanche Cristo è risorto! Se l’evidenza sembra dire che tutta la nostra vita è un andare verso la morte, Gesù ci dice che in realtà il cammino procede in senso inverso: dalla morte alla vita. L’illusione non è la risurrezione, ma la morte.
La vita non ti viene tolta. Dice un Prefazio della Messa dei defunti: “La vita non è tolta ma trasformata”. Questo verbo è molto importante: “non è tolta ma trasformata”. La trasformazione implica una continuità. Noi ci siamo trasformati; qui ci sono dei bambini e noi eravamo così cinquant’ anni fa. Siamo gli stessi? Sì.
Siamo identici? No.
Ci siamo trasformati: da bambini siamo diventati ragazzi, poi adolescenti, poi giovani, poi adulti, poi i capelli sono diventati bianchi, poi sono caduti… allora, il bambino che ero, dov’è? E dobbiamo rispondere: È dentro di te! , cioè quel bambino c’è, ma si è trasformato. L’immagine della trasformazione della vita ci dice anche cos’è la Risurrezione nella quale noi crediamo: è una trasformazione.
“Trasformazione” significa che c’è una continuità (quindi è importante quello che viviamo oggi), ma la Risurrezione e la vita eterna non vede i nostri defunti con le nostre stesse restrizioni, ma tutto quello che c’è di bello sarà esaltato, sarà l’ennesima potenza, ma quello che è animale, doloroso, quello che significa “limite” sarà annullato. Allora siamo chiamati questa domenica a rinnovare questa nostra fede nell’eternità – lo diremo tra poco con le parole del Credo –nel mondo che verrà.
Quindi, non stiamo qui a penaree poi c’è il vuoto, poi c’è il buio, e il niente… Stiamo qui a penare per una trasformazione che dovrà avvenire e che in parte avverrà già oggi, quando facciamo il bene, quando scegliamo stili di vita luminosi. Il Vangelo di oggi si chiude con l’affermazione fulminante: “Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. Gesù ci ha chiesto di accettare la nostra morte, facendone un dono d’amore.
Ci ha detto che un simile dono è la riuscita totale della nostra vita per l’eternità. Staccati dal nostro desiderio “carnale” di non voler morire, potremo intravedere, fin da ora, la pienezza della vita d’amore alla quale siamo chiamati. Riassumo tutto questo in un’espressione molto bella, che dovete ripetere ogni tanto: “ Il meglio deve ancoravenire”. Lo devono dire anche le persone di settant’ anni, non solo i giovani – per loro è facile dire: “Il meglio deve ancora venire” – ma lo devono dire anche gli adulti, anche gli anziani, anche gli ammalati, anche le persone che si vedono limitate almassimo da una malattia. Il meglio deve ancora venire e il “meglio” per noi sichiama Dio, si chiama eternità, si chiama resurrezione. Questo siamo invitati a vederlo anche nella natura. La fede nella resurrezione non ci distrae dal cammino lungo la storia, ma ci fa interrogare sul senso e sulle motivazioni del cammino, e ci porterà alle domande ultime: per chi vivo? Grazie a chi vivo? Perché vivo? Grazie a cosa vivo? Insomma quali ragioni ho per vivere? E quali per morire?”.
TRANSITO AL CIELO E ENTRATA NELLA LITURGIA CELESTE
“Vidi un Cielo nuovo e una terra nuova. Vidi la Città santa, la Gerusalemme Nuova che scendeva dal cielo. si era fatta bella come una giovane sposa abbigliata per il suo sposo. Allora Colui che siede sul trono dichiarò: Ecco, io faccio nuove tutto l’universo”. (Ap 21,1-5)
Il fratello Fabio riprende: “Intanto arriva il mese di ottobre e le cose iniziano a precipitare. Le condizioni di salute di Fabrizio sono sempre più difficili. Ma è proprio in questo mese di ottobre 2013 che accade un “miracolo”. In seguito ad una lettera inviata a Papa Francesco da un suo amico sacerdote, arrivaper mio fratello la risposta positiva che sostanzialmente dice: Il Papa ti aspetta per concelebrare la S. Messa insieme a lui, il giorno 25.
Con incredulo stupore, per Fabrizio quel giorno è quasi una risurrezione. Stranamente affronta il viaggio con serenità e nel pieno delle sue forze. Arrivato alle porte del Vaticano, percorre con estrema rapidità il non breve tratto che lo divide dalla cappella di casa S. Marta, luogo dove celebrerà insieme al Papa. Io lo accompagnoe, anche se rimango fuori, sono felice perché so che mio fratello aveva scritto una lettera al Papa all’interno della quale, penso, avrà chiesto al Pontefice di pregare per la sua guarigione.Sì, in quel momento sono felice perché credo davvero che potremo tornare a casa con la “guarigione di Fabrizio”. Dopo questa giornata tanto stupenda, rientriamo senza fatica a Napoli. Purtroppo però le cose non solo non cambiano, anzi peggiorano, tanto da richiedere per Fabrizio sei nuovi ricoveri ospedalieri nel giro di due mesi.
Per lui, questisono i momenti più intensi; così per noi e per chi lo ha seguito nella malattia che di giorno in giorno ha trasformato il suo corpo, ma non il suo spirito. Con le pochissime forze restategli vuole servire solo Dio e si “dispera” solo quando il fisico non glielo consente. Nonostante il male, l’unico momento della giornata in cui apre gli occhi è quello della preghiera. Con una puntualità disarmante e con un’attenzione che si accende solo in quegli istanti, prende e legge il breviario, quasi come fosse la migliore medicina e, una volta terminata la lettura, ritorna nel suo consueto torpore causato dall’insufficienza epatica. Una volta ci dice: “Non riesco nemmeno a celebrare la S. Messa”, ma poi lo fa ugualmente. Negli ultimi giorni, compreso quello di Natale, concelebra a casa, tenendo gli occhi chiusi, senza riuscire ad alzarsi o stendere le mani durante la Consacrazione. Raccolte le sue ultime forze e con il respiro che si fa sempre più pesante, “aspetta” il trascorrere delle festività natalizie, rinviando un ulteriore ricovero al nuovo anno, ricovero con cui riprenderà la terapia antitumorale.
La sera di Capodanno, con estremo sacrificio, rimane seduto in cucina con noi per aspettare la mezzanotte. Intanto sorge l’alba di mercoledì 1 gennaio 2014. La Mamma Celeste che ha luminosamente contrassegnato tutta la sua breve esistenza terrena, alle 12,50, dopo avere ricevuto la S. Comunione dalle mani dell’ex rettore don Antonio Serra, su sollecitazione del suo Amico nonché Angelo custode, don Fulvio Stanco, accolto tra le braccia della sua amata Mamma, entra per sempre nella sala nuziale del Paradiso accolto dal coro festoso degli angeli, nella beatitudine eterna.In quello stesso giorno vengo a scoprire, leggendo la lettera che aveva consegnato al Papa, che don Fabrizio “non ha chiesto la grazia della guarigione”. In un primo istante mi sento come se una spada abbia appena trafitto il mio cuore, ma tant’è.
In realtà, questa notizia mi dà ulteriore conferma della grandezza di Fabrizioe dell’Amore che provava per Dio.
Passata una settima dal ritorno alla Casa del Padre di don Fabrizio, sento (e lo stesso possono dire i miei famigliari) di avere un “cuore nuovo”, sento di possedere uno “strano” spirito di rinascita, che dona a tutti serenità. E’ una sensazione difficile da spiegare, che credo possa esserecompresa solamente da chi ha la possibilità di viverla. Come fratello e come cristiano, sono contento di contribuire a far conoscere a quanti più possibile questa bella, grande, luminosa e contagiosa figura sacerdotale”.
Il funerale di don Fabrizio, presieduto dal Card. Crescenzio Sepe e concelebrato da una moltitudine di confratelli e partecipato da circa 3000 persone, non è stato una celebrazione mesta, bensì un anticipo del Paradiso. Il video che segue aiuterà a entrare ancora meglio in questa straordinaria storia di don Sorriso. Ed ora che fa dal Cielo? Continua a sorridere e aiuta chi è nel bisogno e a tutti grida: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è Amore”. (1 Gv 4,7-8)
Per la creazione di questo profilo sono state fondamentali le testimonianze di mamma Carmela con il marito Mario e del fratello di don Fabrizio, Fabio De Michino. Nonché l’apporto di tre libretti: uno, preparato dall’Associazione Culturale “Don Fabrizio De Michino”: “In ogni cosa rendete grazie”. Associazione fortemente auspicata dal Cardinal Sepe. “Vi darò un cuore nuovo”, preparato con tanto amore dal suo parroco, ora anch’esso in Paradiso: don Ciro Cucuzza e, infine, “Don Sorriso, un Sacerdote semplice ma non un semplice Sacerdote”, scritto da suo fratello Fabio. Grazie, Signore, per averci donato don Fabrizio. Il suo profumo di Vita, per tutti noi, rimane un invito ad impegnarci a lavorare ancor più assiduamente per le tanto agognate Civiltà dell’Amore e Primavera della Chiesa.
Le canzoni di don Fabrizio De Michino
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