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FOTO FABRIZIO FIORE

A 14 anni compiuti
“Egli è qui per la risurrezione e la rovina di molti, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima”.   (Lc 2,34-35)

Molti sono i ricordi di quel tempo. Ci piace citarne uno in particolare. È l’anno 1983, mese di settembre e la borgata Rolandi a Montà vive la tradizionale festa annuale. Quell’anno si tenne la “ GINCANA DEI TRATTORI” alla quale partecipò anche lui con un Massei Fergurson 30 cavalli, animato da una straordinaria passione. Giovane, ardito e capace, gareggiò e vinse il Primo Premio. In casa Gianolio si festeggiò con gioia questa ulteriore riuscita di Domenico. Lui, così dotato per lo studio, “avrebbe voluto continuare a frequentare la scuola, ci racconta la sorella Teresa, ma non se la sentiva di lasciare solo il papà a lavorare la campagna. Era troppo il lavoro!”. E papà Lorenzo, apre ancor di più lo scrigno dei suoi ricordi: “Benché molto coccolato dalla sue quattro sorelle, si dimostrava un ragazzo molto maturo e ben strutturato moralmente. Una sera mi disse: Papà, preghiamo insieme, perché quest’oggi non abbiamo ancora pregato; cosa molto grave, papà! C’era tra noi un rapporto di padre-amico-fratello. Teneva sul suo comodino il quadretto di S. Domenico Savio e sotto il cuscino l’abitino che gli era stato donato alla sua nascita, momento allora non facile. Non so come, ma presentiva che la sua vita sarebbe stata breve e questo lo aveva confidato a me e a sua mamma, assai prima di morire. Non nascondo che questa confidenza è stata causa di sofferenza: abbiamo portato nel cuore quelle parole come quelle di Simeone rivolte alla Madre di Gesù, quando il Messia è stato presentato al Tempio di Gerusalemme. Più volte, specialmente sua mamma, lo abbiamo sollecitato perché ci spiegasse il significato di questa sua “profezia”; ma lui, sorridendo ci ha sempre risposto: State tranquilli!”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le sue sorelle crescono con lui e ricordano …
“Sii pronto nell’ascoltare, lento nel proferire una risposta. Se conosci una cosa, rispondi al prossimo; altrimenti mettiti la mano sulla bocca”.   (Sir 5,11-12)

Teresa: “Porto sempre nel mio cuore le parole di un suo amico con il quale partecipava alla S. Messa la domenica mattina. All’uscita Domenico sembrava sparire per almeno una mezz’oretta; poi, “magicamente” ricompariva con il viso ancor più luminoso del solito, ancor più sereno. L’amico gli chiedeva: “Ma dove sei andato?”. Lui non voleva dirlo. Il suo amico però insisteva, perciò gli diceva: “Sono andato a confessarmi”. Di rimando: “Ma non abbiamo fatto da poco tempo le confessioni?”.

E Domenico: “Ma non lo sai che dobbiamo tenerci pronti?”. Un altro ricordo di vita ordinaria di famiglia è legato ad una piccola lavagna che si teneva in casa, dove erano fissati i turni per lavare i piatti. Ovviamente con quattro donne in casa, senza contare la mamma, noi non avevamo scritto il suo nome.In poche parole abbiamo dovuto rifare il calendario per inserire anche il suo nome e il suo turno. Quando eravamo seduti a tavola, era sempre il primo ad alzarsi per servire o per sostituirsi a noi se c’era bisogno e non c’era verso di fargli capire che anche gli altri avrebbero potuto servire. Non faceva tutto questo forzatamente mettendo in mostra sé stesso. Al contrario: faceva tutto con freschezza, scattando quasi dovesse mettersi sull’attenti, con gli occhi vivaci e luminosi. Per lui servire era cosa buona e bella! L’unico lavoro che qualche volta ci permetteva di fare, era quello di rifargli il letto.

E che cosa trovavamo tra le lenzuola? La corona del Rosario. Insomma: Domenico era una persona veramente speciale; nostro padre non ha mai dovuto sgridarlo per qualcosa di non fatto bene. Nei suoi discorsi traspariva il suo amore per la virtù della purezza. Era terso, limpido come il cristallo.Non voleva fare peccati; voleva vivere come S. Domenico Savio, di cui teneva sul comodino un quadretto con l’immagine e sotto il cuscino l’abitino che gli era stato dato alla sua nascita.Aveva scelto come programma e stile di vita tutto ciò che aveva ascoltato sulla “Regina delle virtù”, come don Bosco chiamava la purezza. Un altro ricordo indelebile è legato al cane pastore, bellissimo, che Domenico aveva cresciuto. Questo cane, suo fedele segugio in tutto, anche se era alto e robusto, aveva paura di fare le scale. Domenico con tanta pazienza e amore gli aveva insegnato a superare questa paura. Ricordo che, quando Domenico è tornato alla Casa del Padre, per numerose notti il suo cane ha guaito dalla malinconia.

Angela: “Ho tanti ricordi belli di mio fratello anche perché avevo cinque anni più di lui. Eccone alcuni che praticamente ho inciso nel mio cuore e, anche se il tempo è inesorabilmente trascorso, non è certo riuscito a cancellarli. Una sera i nostri genitori, entrambi impegnati in un incontro comunitario, ci hanno lasciato a casa da soli. Ci siamo seduti intorno al tavolo della cucina e il discorso di quella sera si è incentrato sulla virtù della purezza; argomento tanto caro a Domenico.  Senza il “controllo” dei genitori abbiamo parlato privi di “censure” sulle abitudini sbagliate di tanti ragazzi e giovani, spesso giustificate da scontate affermazioni quali: “Lo fanno tutti”, “Ma che male c’è?”, “Dov’è scritto che non si può?”. Domenico era molto preso e attento al nostro argomentare. Pur consapevole della bellezza della vita della Grazia, per di più attratto ed entusiasmato dalla figura di S. Domenico Savio, viene a scoprire alcune cose che prima ignorava.

Da quel momento partirà una vera lotta spietata al peccato che lui chiamerà sempre con il suo nome, senza se e senza ma, e spesso lo abbiamo sentito dire: “Anch’io voglio vivere come S. Domenico Savio; non voglio commettere dei peccati contro la virtù della purezza!”. Un altro particolare che ricordo bene è quello legato ai frequenti “scherzi” a danno del suo motorino. Essendo Domenico un ragazzo molto buono e dalla pazienza provata, spesso diventava il bersaglio di alcuni bulli che si divertivano a manomettere la sua motocicletta, così che più volte ha dovuto tornare a casa a piedi, spingendo la moto a mano. Invitato a ribellarsi denunciando i colpevoli, lui con eroica pazienza cristiana, rispondeva a noi e in particolare a nostro papà: “Papà, non immischiarti, perché se mi arrabbio il gioco non vale. Lasciali fare!”. Nulla spegneva il suo sorriso o intaccava la sua serenità, tanto che tale giovialtà indispettiva ancor di più i suoi “amici-nemici”.

Un altro caro ricordo è quello di un immancabile mazzo di fiori bianchi freschi che settimanalmente veniva portato sulla tomba da una sua giovane amica che nutriva per lui stima e simpatia. Questo rito settimanale è stato dimostrazione del profondo affetto provato per Domenico, un sentimento che nemmeno la morte è riuscita a soffocare. Completo questa mia testimonianza con quanto successo nel tardo pomeriggio di quel mercoledì 17ottobre 1984. Io e Domenico stavamo lavorando ad un filare nella vigna e discorrevamo di tante cose. Nell’altro filare lavoravano papà e mamma. Lui con entusiasmo mi parlava dei suoi sogni. Mi stava confidando che voleva chiedere ai don della parrocchia il permesso di far catechismo ai ragazzi,quando l’ho sentito gridare: “Agne (lui mi chiamava con questo diminutivo, che tale rimane oggi), mi ha punto un calabrone. Ho male, ci vedo solo da un occhio. Muoio di tetano, ho male!”. Dopo di ciò tutto precipitò in un “sogno-incubo” che portò il nostro caro Domenico a raggiungere la Patria del Cielo”.

Luisa: “Mio fratello Domenico? Non c’è dubbio che fosse un ragazzo molto più maturo della sua età, a partire dai suoi discorsi, alle riflessioni che condivideva volentieri, fino alle domande intelligenti che si e ci poneva, alle quali, spesso, sapeva dare anche una risposta esauriente. Quante volte con molta serietà l’ho visto prendere parte ai problemi della nostra famiglia! Quando si parlava di lavoro, lui c’era. Quando ci si trovava davanti a situazioni spiacevoli o difficili, non si tirava indietro. Fino dove poteva arrivare, desiderava rendersi presente nel fare la sua parte, pur di vedere regnare la pace in famiglia. Ricordo perfettamente questa sua espressione più volte ripetuta: Io morirò giovane; espressione che tante volte ha turbato la nostra famiglia. Tuttavia alla nostra ripetuta richiesta:“ Ma perché parli così? Che cosa c’è che non va? In che modo possiamo aiutarti?“non ha mai saputo spiegare il significato di quelle parole tanto misteriose. Purtroppo tutto ci diventò molto più chiaro dopo quel 17 ottobre 1984, quando nostro fratello è salito al Cielo nella gloria degli angeli e dei santi.

Quel pomeriggio io ero rimasta a casa a studiare. Ho sentito squillare il telefono: era mio zio Giuseppe, sacerdote salesiano, fratello di papà che, da Torino, dove avevano portato Domenico in condizioni disperate, con la voce rotta dalla commozione, mi disse: Prepara i vestiti per tuo fratello perché, purtroppo, umanamente non c’è più niente da fare! Domenico era già entrato nella sala del banchetto nuziale, in Cielo. Non posso che ringraziare per il grande dono di un fratello così!”.

Disegno misterioso
“Là dov’è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore”.( Mt 6,21 )

È ancora papà Lorenzo che ci accompagna in questo momento tanto doloroso quanto glorioso. “Quell’autunno del 1984 stava terminando il primo giorno della vendemmia, quando Domenico, invitandomi ad alzare lo sguardo verso il cielo mi disse: “Papà, vedi che bel sole?”. Il tramonto di quella sera era veramente splendido; il cielo si era colorato di rosso e giallo, come non avevo mai visto prima. Era il 17 ottobre.

Mai avrei potuto immaginare che dopo quelle parole si sarebbe scatenata una “tempesta” inaspettata. Domenico tutto d’un tratto si mise una mano sulla fronte urlando dal dolore: “Un calabrone mi ha punto!”.Io, mia moglie, la sorella: accorremmo tutti per aiutarlo, anche se in realtà fu lui ad aiutare noi. Si mise subito a pregare e invitò anche noi a fare altrettanto. Il male si faceva sempre più forte e in preda a dolori lancinanti pregò la Salve Regina e l’Ave Maria, confondendo le espressioni. La mamma lo prese tra le braccia e lui, rendendosi conto della gravità della situazione, le disse: “ Mamma, io muoio ma tu non devi piangere; stai tranquilla ”, e prendendole la mano perse i sensi. Con un mezzo di fortuna lo trasportammo subito all’ospedale di Alba. Durante l’affannoso tragitto lo tenevo tra le mie braccia e mi sembrava di rivedere la scena di Gesù deposto dalla croce e messo in grembo a sua Madre Maria. Dopo un’ora di completa incoscienza, fece come per alzarsi, con la mano sinistra cercò di tirarsi su la maglietta e riuscì a pronunciare le sue ultime parole: “Ave, Maria e Salve, Regina”, poi ricadde tra le mie braccia, privo di conoscenza. Giunti all’ospedale “ San Lazzaro” ci  fu un vero concorso di medici per cercare di salvargli la vita. Intanto arrivò il verdetto impietoso dell’esame clinico: aneurisma cerebrale.

Per offrirgli maggiori possibilità fu trasportato d’urgenza a Torino, all’ospedale S. Giovanni; ma risultò tutto inutile perché la sera stessa il nostro caro Domenico nasceva al Cielo”. Quella sera una nuova stella si è accesa nel cielo trapunto di astri luminosi. Papà Lorenzo riprende: “Solo il dono della fede ci ha permesso di accettare la sua nascita al Cielo, convinti che di là lui ci aiuti, ci protegga e ci attenda con impazienza finché anche noi, una volta ricongiunti, andremo ad occupare il posto preparato per noi. (Cfr. Gv 14,1-3) Queste sono le Verità che ci sono state insegnate dai nostri genitori, pertanto siamo convinti che San Domenico Savio, salito al Cielo anche lui a quindici anni, abbia accolto accanto a sé il nostro caro Domenico. Con le parole “Mamma, io muoio, ma tu non piangere”, pronunciate prima di spirare, Domenico ha dato a sua mamma la forza soprannaturale per affrontare questo dolore grande con coraggio e una forza sorprendenti, tanto che mia moglie ripeteva a tutti: “Mio figlio mi ha detto di non piangere perché lui è in Cielo con il Signore e con gli Angeli!”.

Ricordo nitidamente il giorno prima di nascere al Cielo; eravamo seduti a tavola e la mamma accortasi che mancava il vino disse alla figlia: “Vai tu in cantina perché Domenico ha fatto dei lavori faticosi ed è stanco”. Domenico, che riteneva questa incombenza di sua competenza, disse: “Mamma, io sono stanco, ma anche lei è stanca!”. Si alzò e andò lui a prendere il vino. Cercava di essere presente in tutto, anche nelle faccende domestiche, per dare un aiuto alla mamma e alle sorelle. Il Signore aveva donato a Domenico qualcosa di soprannaturale che lo ha reso speciale e unico. Domenico non era nato per questo mondo. La sua presenza ci manca solo fisicamente perché lo sentiamo continuamente fra noi, in ogni istante della giornata. Con le preghiere del mattino affidiamo a lui tutte le preoccupazioni e le gioie famigliari. Con quelle della sera gli raccomandiamo un buon riposo ristoratore e gli consegniamo le azioni della giornata. Gli chiediamo che ci protegga e ci accompagni affinché le insidie e le avversità della vita non ci travolgano. Il suo essere “seme caduto sulla terra buona” dà frutti,oggi per questa vita terrena e domani per quella eterna.

Ora anche Erminia è con lui per sempre. Ha sofferto tantissimo la mancanza fisica di nostro figlio. L’ultimo anno della sua vita terrena, anche se non  parlava più, ha continuato ugualmente a sorridere a tutti. Non era più autosufficiente ma, nonostante questa difficoltà, la nostra  famiglia ha mantenuto il rito settimanale di riunirsi ogni domenica. Anche quella domenica mattina, 15 gennaio 2017, alle ore 12,00, la nostra famiglia era quasi al completo: attendevamo Angela. Appena entrò in casa chiese subito della mamma. Finalmente c’eravamo proprio tutti, nipoti compresi. E la mia cara moglie in quel momento con un sorriso ci ha salutato ed è partita per il Cielo. Sicuramente Domenico è venuto a prendere la mamma. Dal suo impeccabile ruolo di “regina della casa ai Rolandi”, ora è al servizio del Re, nei saloni del Paradiso, in attesa del nostro arrivo”.

Gli amici di Montà, così salutano Domenico

(Dal bollettino parrocchiale)
“Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”.  ( Mt 5,16 )

Carissimo Domenico, noi tuoi amici, giovani come te, compagni di scuola, amici del gruppo giovanissimi, a nome di tutta la comunità, di don Pino e don Gianni, vogliamo salutarti, ricordarti, prenderti come esempio. Ricordiamo in te l’amico con il sorriso sulle labbra, il compagno sempre disponibile. È difficile salutarti e non vogliamo dirti addio, ma ciao e arrivederci (come si fa con gli amici che si è certi di rivedere ancora): non possiamo credere, come non lo credevi tu, che la vita e la morte non abbiano un senso. Vogliamo ricordarti come amico coerente, sempre sincero e disponibile, come amico di tutti che amava stare con gli altri per crescere insieme. Vogliamo ricordare il tuo desiderio di stare in gruppo ai Rolandi e in parrocchia con il desiderio di guardare a fondo nelle cose. Sei stato per noi un modello di giovane cristiano fino in fondo: nella preghiera, nella lettura della Parola di Dio, nella Messa nella partecipazione ai campi-scuola di Cesana, nelle giornate di ritiro ad Altavilla …

Tu ci credevi davvero e ce lo dimostravi senza paura e senza rispetto umano. Perdonaci, Domenico, se a volte non ti abbiamo capito o forse abbiamo un po’ sorriso – non senza una punta d’invidia – per la coerenza che hai dimostrato ai valori che, forse solo oggi, capiamo come tu hai vissuto: la fede, l’amore verso tutti, la speranza che manifestavi così bene con il tuo prossimo, sempre pronto al perdono e al desiderio di camminare insieme. La tua vita è stata ed è un modello, un esempio per tutti noi. ecco perché abbiamo scelto per te le parole del canto: “Muore nella terra un chicco di grano, ogni luce muore nella sera, muore nel dolore la felicità, sulla croce muore la vita. Ma l’amore ancora risorgerà nella luce chiara del mattino e dal seme l’erba germoglierà, dalla morte nasce la vita”. Sappiamo che tu ci accompagnerai, come accompagnerai i tuoi cari dal cielo. Vogliamo proseguire con la fiducia e con il sorriso sulle labbra, come ci hai insegnato tu. Ciao Domenico, ti ricorderemo.

I tuoi amici

Da un articolo di Gazzetta d’Alba del 7 novembre 1984
Morire a quindici anni

Nei giorni scorsi mi è giunta inaspettata la notizia della morte di un ragazzo quindicenne che ho conosciuto durante i campi scuola estivi di Cesana. Impossibile esprimere ciò che si prova in momenti simili, soprattutto quando è ancora viva l’amicizia nata durante il campo ed il ricordo delle giornate trascorse. Al di là di tutto, dell’amicizia, della giovanissima età, la notizia riempie di profondo dolore e non può non far riflettere. Il perché della morte di un giovane ragazzo nessuno riuscirà a trovarlo e penso che nessuno possa dare una risposta esauriente al dolore dei genitori. La moderna società con la sua tecnocrazia vuole dare una  spiegazione a tutto e pianificare tutto, ma davanti al dolore è costretta a fermarsi. I perché rimangono senza risposta e gli apprendisti stregoni raggirano l’ostacolo proponendo una visione puramente edonistica della vita, tesa ad eliminare o nascondere ciò che deturpa questa visione.

Certi fatti però non possono essere nascosti: la morte di un adolescente scuote ancora la coscienza, da notizia e impressiona. È più che giusto che sia così, ma è triste constatare come la morte faccia meditare solo più in casi estremi come questo: ai due poli della vita la morte non è più considerata. L’aborto e l’eutanasia (problema sempre più attuale) ne sono il triste esempio. Il desiderio di libertà indiscriminata di puro edonismo ha portato alla perdita del senso della morte e di conseguenza del senso della vita. È un controsenso della nostra società idolatrare i piaceri della vita e porre contemporaneamente dei limiti all’esistenza dell’uomo. Aborto e eutanasia, corrodendo il senso stesso della vita nella sua più intima essenza, creano una mentalità ambigua e pericolosa senza scrupoli di coscienza. Il sonno delle coscienze, più ancora della ragione, non genera angeli ma mostri. La scomparsa del mio giovane amico ha allargato un po’ la mia riflessione, ma penso rispecchi la mentalità che si sta rapidamente diffondendo. Ai parenti che sono nel dolore non bastano le parole, il vuoto di una persona cara si riempie solo con convinzioni profonde radicate nell’intimo delle coscienze.

Bisogna ripensare l’uomo da cima a fondo e lottare contro chi sgretola giorno per giorno la sua essenza in nome di una libertà velleitaria. Bisogna essere coerenti fino in fondo e non permettere che le proprie coscienze riposino tranquillamente nell’ipocrisia, un evento doloroso scuote e impressiona: non lasciamolo passare senza riflettere. In un attimo si possono comprendere molte cose e quel fatto così tragico e assurdo sarà servito da lezione di umanità.

Sergio Moscone

AVANTI

 

 

 


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