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DOMENICO: UN GIOVANE SANTO DEI NOSTRI GIORNI

FOTO FABRIZIO FIORE

La lucerna del corpo è l’occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce”.   (Mt 6,23)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anno del Signore 1984: è il 17 ottobre. Da quel giorno, nel quadrante del tempo sono ormai trascorsi ben trentaquattro anni. Eppure papà Lorenzo Gianolio, nonostante la sua avanzata età, ricorda tutto con una lucidità sorprendente. Presenta suo figlio Domenico come VIVO TRA I VIVENTI, una “luce che brilla in luogo oscuro”, un tesoro nascosto da cercare, scoprire, valorizzare. E noi, ben volentieri, disponiamo il cuore all’ascolto di questa nuova avventura che, come le altre, ha dell’incredibile. L’imponderabile continua a stupirci, a meravigliarci!  Quanta bellezza si trova in mezzo a noi.Siamo noi, distratti, che rischiamo di non vederla e valorizzarla quanto merita.Intanto, con questo nuovo Amico che viene ad aggiungersi, il nostro gruppo “Maria Porta del Cielo”, diventa ancora più forte, più vivo e apportatore di Vita.

Il paese di Domenico
“E tu, Betlemme, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà …”.  (Mi 5,1)

La storia di Domenico si svolge nel ridente paesino collinare campestre di Montà d’Alba, un comune della provincia di Cuneo, in Piemonte. Fa parte della delimitazione geografica del Roero. È il comune situato più a nord della sua provincia. Il primo nucleo risale  intorno all’anno 1000 quando, dopo varie vicissitudini, gli abitanti si accasarono sotto il bel castello che si trova nella parte più alta del paese. Intorno all’anno 1200, la popolazione si allargherà anche al circondario. Montà è un paese prevalentemente agricolo, ricco di viti e noccioleti e anche di prospero artigianato. Molti sono i pendolari che, quotidianamente, si portano verso le città di Alba e di Torino. Religiosamente permangono solide tradizioni cristiane, popolari e non.La vita del paese gravita attorno alla parrocchia e alle sue attività, dove sboccerà e fiorirà anche il nostro Domenico.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo all’anno 1960-1961.

Lorenzo Gianolio e Erminia Cerruti
“ Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra “.   (Gn 1,28)

Allora erano molto giovani e, dopo appena un anno e un mese di “fidanzamento all’antica”, il 16 settembre 1962, nel paese di S. Stefano Roero, nella chiesa parrocchiale dedicata a S. Maria del Podio, l’allora parroco don Carlo Viglino benedice la loro unione sponsale. Per entrambi rimarrà un giorno di gioia indelebile che durerà ben 55 anni. E’ bello ascoltare dal primo protagonista, come Lorenzo e Erminia siano arrivati a quel passo tanto importante, che segnerà tutta la loro vita. “Incontro casuale oppure preparato dall’eternità? Ho visto per la prima volta quella che sarebbe stata la mia futura sposa al mercato di Canale (CN).

Correva l’anno 1961. Erano tanti quelli che ogni martedì mattina si mettevano in cammino per scendere verso questo grande centro del Roero. Il ricco mercato settimanale favoriva pertanto, insieme ad abbondante mercanzia, anche gli incontri tra persone. In quelle uscite di ragazze ne ho viste tante e sicuramente anche di aspetto avvenente, eppure tra queste ne ho scorta una che aveva quel “qualcosa di più”, che nessun’altra aveva. Quell’anno era stata affidata a me la responsabilità di organizzare la festa di Leva del 1934, la nostra Leva. Pertanto ho avuto più occasioni di incontrarla. 

Che da parte di entrambi ci fosse un certo interesse era abbastanza evidente, ma nessuno dei due osava fare il primo passo. Intanto ecco arrivare le tanto attese “Feste di Canale” con l’immancabile sera dedicata ai fuochi d’artificio. Insieme al suggestivo spettacolo pirotecnico, ecco scattare anche la nostra scintilla. Sotto i rinomati “portici di Canale”, con il cuore che batteva forte forte, finalmente siamo riusciti a dichiararci vicendevolmente il desiderio di conoscerci meglio. Quella sera, tanto era illuminato il cielo dalla luce dei fuochi d’artificio, quanto il nostro cuore al suono delle parole che, per la prima volta, sono uscite dalle nostre labbra. Mi si creda quando dico che l’incanto di quella famosa sera sarebbe poi continuato per il resto dei nostri giorni.

Quella prima volta non mi sono ingannato circa la preziosità di quella giovane: in seguito ho avuto innumerevoli dimostrazioni della fondatezza del mio pensiero. Mai ho avuto anche un solo motivo per dubitarne. La mia cara Erminia venne ad abitare nella mia casa paterna a Montà ed entrò quasi fosse la Regina di casa. Quante volta l’ho sentita esclamare: “Qui mi trovo come fossi in paradiso!”. Quanta dolcezza in Erminia, quanta disponibilità! Sempre con il sorriso sulle labbra, sempre pronta a sostenermi in qualsiasi occasione, sia felice sia avversa; sapeva incoraggiare chiunque e si andava avanti, sempre.

Intanto arrivano i figli
“La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa”. (Sal 127,3)

Dalla nostra unione, sono arrivate le prime figlie. Nell’anno 1964, l’11 gennaio, ecco Angela. Il 29 novembre dello stesso anno,a soli otto mesi, nasce Teresa. Luisa, la terza, arriva il 6 luglio 1966. E dopo tre sorelle, il 29 aprile 1969, ecco sbocciare Domenico, il nostro “fiore”. Tre anni dopo, il 23 gennaio 1972, nascerà Daniela, l’ultimogenita. Insomma come si vede, una bella famiglia. I figli sono una benedizione di Dio, proprio come dice il salmo 127: “La tua sposa come vite feconda nell’intimità della tua casa; i tuoi figli come virgulti d’ulivo intorno alla tua mensa. Così sarà benedetto l’uomo che teme il Signore”. (vss 3-4) Domenico, come le sue sorelle, avrebbe dovuto essere partorito all’ospedale di Alba; invece nacque alla clinica pediatrica S. Anna, in Torino, dove portammo d’urgenza Erminia,a causa di una brutta emorragia interna, che i medici riuscirono a bloccare. Ella tornò a casa ancora più energica subito dopo il parto. Madre e figlio avevano rischiato veramente forte, tanto da poter ora dire: sono arrivati entrambi alle porte del Cielo ma, senz’altro non essendo ancora giunta la loro ora, sono stati rispediti indietro, sulla terra. Affidammo il nostro Domenico a S. Domenico Savio, patrono delle partorienti, invocandolo così: “ San Domenico Savio, fa’ tu che sai!”.

L’infanzia di Domenico
“Sarà come albero piantato lungo corsi d’acqua, che darà frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno mai; riusciranno tutte le sue opere”.   (Sal, 1,3)

Dopo quattro giorni da questi avvenimenti, mamma e figlio fanno ritorno a Montà dove le giornate trascorrono normalmente. Solamente un anno dopo sopraggiungono complicazioni gastrico intestinali che richiederanno un nuovo ricovero urgente a Torino. Anche questa seconda volta San Domenico Savio veglierà sul suo piccolo Amico: il problema si risolverà in poco tempo e non avrà seguito. Intanto il piccolo cresce e si potrebbe paragonare a uno scoiattolo, tanto è vivace.

Fin da piccolissimo si guarda intorno meravigliato e osserva attentamente tutto ciò che lo circonda. Mamma e papà lo seguono e ascoltano i suoi ragionamenti; non di rado loro stessi sono i più meravigliati e si chiedono l’un l’altro: “Ma questo piccolo dove vuole arrivare?”. Quest’interrogativo di papà Lorenzo e mamma Erminia non ci riporta forse a quello postosi dai vicini di casa, nel vedere che cosa stava capitando intorno al piccolo Giovanni Battista: “Che sarà mai questo bambino?”. (Lc 1,66) Anche il nonno materno, vedendolo tanto vispo diceva: “Questo bambino bisogna tenerlo ben d’occhio. È troppo vivace. Come ti giri ne combina subito una delle sue!”. In realtà dietro a tutta questa vivacità c’era già un Disegno che si comprenderà appieno solamente una volta giunti a Casa.

Alla scuola elementare
“Radice della sapienza è temere il Signore; i suoi rami sono lunga vita”.  (Sir 1,18)

A detta delle sue maestre di allora: “Un bimbo molto intelligente; il primo della scuola”. I compiti assegnati li svolgeva da solo anzi, aggiungono le maestre: “spesso ci precedeva negli argomenti, specialmente quelli di Educazione Tecnica e Matematica”. Era un vero gusto ascoltarlo proprio in considerazione alla sua giovanissima età. Più volte le maestre ascoltando e confrontandosi tra loro dicevano: “Ma come fa a conoscere così tante cose?”. Altri particolari molto importanti li ha condivisi don Gianni Pavese, allora vice curato della parrocchia S. Antonio abate di Montà. “Anche se ormai a distanza di molti anni, non mi è possibile dimenticare i nostri appuntamenti del lunedì sera, quando andavo a celebrare la S. Messa nella cappella della borgata Rolandi, luogo dove risiedeva la famiglia Gianolio. Tutta la famiglia era sempre presente e il piccolo Domenico immancabilmente serviva all’altare come chierichetto.

Sempre diligente e attento, ascoltava volentieri e rispondeva ai dialoghi proposti dal celebrante. Mi ha sempre positivamente colpito la sua immediatezza nel capire qual’era il suo ruolo prima ancora di dirglielo. Interessante era anche questo. In suddetta borgata si radunava un gruppo di adolescenti per alcuni momenti di condivisione e di catechesi. Lui era decisamente più piccolo. Eppure … non solo non mancava a questi appuntamenti ma, addirittura, si sapeva inserire bene nei dialoghi e al momento giusto sapeva anche porre interrogativi interessanti. Insomma, anche se bambino nel corpo, si delineava già grande nello spirito. In tutto ciò mi sia lecito attribuire molto di questo sviluppo dello spirito alla sua famiglia, che ha saputo trasmettergli una fede molto forte, se non addirittura fortissima; una fede non ostentata a forza di parole, ma ricca di tanta concretezza.

Oserei dire una “Famiglia tutta d’un pezzo!”. Dai suoi genitori il nostro campione ha imparato: che cosa sono la giustizia, l’onestà, la sincerità, l’agire nella Verità, la solidarietà. Non posso concludere in modo migliore questa mia testimonianza, se non citando questo passo evangelico: “Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni … Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere”. (Mt 7,16-20)

Alla scuola media
“Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il sole”.  (Qo 3,1)

“Domenico Gianolio? Un vero DONO di cui ho tutt’ora un’immagine nitida, anche se sono trascorsi 34 anni. Un alunno che ha veramente lasciato un segno forte del suo passaggio. Di lui mi è rimasto molto nel cuore”. A parlare così è la sua professoressa di Educazione Tecnica, Berta Graziella, presso le scuole medie di Montà, là al suo primo anno di insegnamento. Solamente al ricordo del nome di Domenico, il suo volto si illumina di un grande sorriso misto a una velata nostalgia.

“Un ragazzo molto disponibile sia con noi insegnanti, sia con i suoi compagni. Senza forzatura alcuna: intelligentissimo e molto studioso. Proverbiali anche la sua finezza e l’auto-dominio. Mai visto bisticciare o essere maleducato con i suoi compagni; anzi quando li vedeva bisticciare, cercava di calmare subito le acque. Un ragazzo molto più maturo della sua età e consapevole di avere avuto da Dio doni che ha saputo sviluppare con impegno. Buono di carattere; quando gli si chiedeva qualcosa era sempre pronto a rispondere. Quante volte noi insegnanti, assegnando qualche compito da svolgere, o argomento da studiare, troviamo alunni che si limitano solamente al minimo indispensabile;quanto indicato e basta.

Domenico, invece, desiderava conoscere, pertanto spaziava largo, domandava, si informava,chiedeva spesso approfondimenti sull’argomento trattato. Mi fa ancora piacere pensare alla nostra gita a Venezia. Ogni occasione per gli alunni era buona per sparpagliarsi un po’ ovunque. Domenico, lo ricordo particolarmente, era sempre vicino agli insegnanti e docile alla loro guida. Comunque non si pensi che presentando così bene questo alunno, risultasse un ragazzo serioso, quasi un “bacchettone”. Anzi! Pur rimanendo un ragazzo indubbiamente serio, sapeva anche scherzare amichevolmente e di humor decisamente gradevole. Mi sento di concludere così: lo paragono volentieri ad un “Angelo sceso sulla terra”. Per lui c’era qualcosa di scritto che va ben al di là delle nostre conoscenze. Un “Disegno” che si svelerà man mano in tutta la sua bellezza e grandezza”.A conferma di tutto ciò ascoltiamo questa bella testimonianza di un suo amico coetaneo.

 Mauro Casetta racconta …
“Un amico fedele è una protezione potente, chi lo trova, trova un tesoro”. (Sir 6,14)

“Io e Domenico eravamo coetanei ed i primi ricordi risalgono al periodo delle scuola media. Non eravamo nella stessa classe ma ci si frequentava in quanto i nostri genitori si conoscevano e la domenica mattina, al mercato, talvolta si incontravano e parlavano di noi ragazzi pensando al nostro futuro. Con Domenico ci si trovava nel momento dell’intervallo, occasione in cui oltre a ricaricare le batterie gustando il buon panino preparato dalle nostre mamme, ci scambiavamo battute scherzose. Ricordo ancora le nostre sfide alla ricomposizione delle sei facciate colorate del famoso “cubo magico”; Domenico su questo era imbattibile.

Tanti compagni lo sfidavano ma Domenico al momento del “via” muoveva le mani su quei dadi colorati ad una velocità impressionante, gridando vittoria in un batter d’occhio, lasciando tutti noi spettatori a bocca aperta. Alcuni dei compagni di scuola presenti pensavano a qualche trucco ma Domenico per eliminare qualsiasi ombra di dubbio, consegnava addirittura loro il cubetto in modo che potessero ingarbugliarlo il più possibile, ricomponendolo poi senza particolare difficoltà ed in poco tempo.Mi ero permesso di chiedergli quale fosse il metodo che usava in quanto io non riuscivo a ricomporre neppure una facciata completa: il giorno dopo arrivò a scuola con un foglio di quadernone su cui aveva disegnato tutti gli schemi dei vari movimenti che eseguiva per ricomporre le sei facciate. Me li spiegò anche bene ma, a dire il vero, io li ho appresi solo in parte tanto che ad oggi, non sono riuscito a risolvere completamente l’enigma di quel cubo. Ogni volta che prendo in mano quel “giocattolo” mi viene da pensare a Domenico ed ai momenti di divertimento trascorsi a scuola insieme.

Sempre pensando alle scuole medie ricordo il periodo del terzo ed ultimo anno, quando bisognava pensare alla grande scelta: “continuare con lo studio oppure cercare un lavoro?”. Molti di noi scelsero di continuare con lo studio, per lo meno per raggiungere il diploma di maturità, ma Domenico senza esitare scelse di chiudere con lo studio per poter aiutare la sua famiglia nel lavoro di agricoltore e commerciante di prodotti agricoli. Effettivamente questa sua determinata ed incontrastabile scelta aveva lasciato tutti un po’ stupiti in quanto Domenico era uno tra i migliori ragazzi delle tre sezioni della 3^ media di Montà; sia come impegno nello studio, sia come intelletto. I professori, specialmente quelli che l’avevano seguito direttamente nei tre anni di scuola media, si domandavano il perché di questa scelta e cercarono di fargli fare marcia indietro, ma

Domenico sicuro della sua decisione, fu irremovibile. Infatti, terminato l’esame di 3^ media con il massimo dei voti, si dedicò completamente al duro lavoro dei campi insieme ai suoi genitori.Lavorava con grande forza di volontà e contentezza, nonostante la fatica. Proprio per questa sua scelta così fuori moda, talvolta fu costretto a sopportare battute poco piacevoli lanciate da qualche ragazzo; frecciate lanciate con uno spregevole spirito di cattiveria, ribadendole magari anche di fronte ad una ragazza appena conosciuta. Battute del tipo: Domenico nella vita ha scelto di fare il “barotto” (rozza espressione piemontese per indicare chi sceglieva l’umile lavoro del contadino; già allora poco apprezzato).Ovviamente Domenico ci rimaneva male ma non ribatteva, anzi sorrideva passando oltre, dopodiché con me diceva a bassa voce: “Poteva ben stare zitto quello lì!”.

Ed io a rispondergli:“Non farci caso!”.Domenico aveva deciso di girare da solo, lui ed il suo motorino Ciao di colore blu, che alcune volte si faceva spingere.Noi del gruppo di San Vito (una frazione di Montà), eravamo un gruppo di ragazzi e ragazze che normalmente il sabato sera e la domenica pomeriggio si ritrovava davanti alla casa di un’amica comune.Si dialogava un po’ e poi si partiva per andare alla festa di qualche paese vicino, oppure a fare un semplice giro con i nostri motorini a mangiare un gelato.

Domenico passava di lì e spesso si fermava a parlare con noi. Una domenica pomeriggio è arrivato mentre stavamo per partire,  gli abbiamo chiesto se voleva unirsi a noi e lui ha accettato volentieri.Da quel giorno Domenico ha iniziato a frequentare il nostro gruppo. Io ero quello con cui, specialmente all’inizio, aveva maggior confidenza, ma non ci volle moltoad entrare in sintonia anche con il resto della banda, tant’è vero che non ci si muoveva da San Vito finché Domenico non fosse arrivato.Non potrò mai dimenticare quella sera quando, con i nostri "cinquantini",andammo alla festa di Dusino San Michele (AT).

Domenico sul prato vicino alle giostre aveva trovato un bel paio di occhiali da sole, neri, con le lenti a specchio verdi. Me li regalòsubito dicendomi: “Prendili tu, io ne ho già un paio!”.Una sera conoscemmoalcune ragazze di Cellarengo (AT). Da allora e per molto tempo, la piazza di Cellarengo divenne nostra meta consueta. Avevamo formato con loro un gruppo affiatato, tanto da far ingelosire i ragazzi del paese che non esitavano a farci scherzi, a volte anche di cattivo gusto. Nel mese di Ottobre a Cellarengo si era organizzata la festa con giostre e attrazioni varie. Anche noi, insieme a Domenico,avevamo trascorso là il sabato sera e la domenica pomeriggio. La domenica sera nessuno del gruppo aveva voglia di tornarvi ancora, eccetto Domenico, che mi aveva quasi supplicato perché lo accompagnassi. Siccome mi ero imposto di non uscire le domeniche sera durante il periodo della scuola, per evitare di essere stordito dal sonno il giorno dopo, nonostante le sue insistenze gli dissi che non sarei andato.

Lui comprese il motivo del mio no, ma mi lasciò intendere che ci sarebbe comunque andato, anche da solo. Nel tardo pomeriggio, tornando insieme da Cellarengo, ci salutammo all’incrocio che porta a casa mia, come di consueto. Nessuno di noi pensava che quello sarebbe stato l’ultimo saluto. Forse,ripensandoci con il “senno del poi”, Domenico quella sera voleva a tutti i costi tornare a Cellarengo per salutare ancora una volta quelle ragazze, prima di partire per sempre? Fatto sta che il mercoledì successivo, verso sera,arrivò come un fulmine a ciel sereno la notizia che Domenico ci aveva improvvisamente lasciati”.

Emanuela Bodda, un’amica di Canale (CN) che aveva incontrato durante i campi-scuola di 2^ e 3^ media, negli anni 1981-1982, ci fa dono di quest’altra bella testimonianza. Ennesima conferma del segno indelebile che ha lasciato Domenico, anche se da allora sono trascorsi ben trentotto anni! “Facemmo amicizia in quanto eravamo nello stesso gruppo d’attività e riflessione. Mi colpì la sua intelligenza, il sorriso pulito, lo sguardo pieno di serenità e gioia. Era molto attivo, impegnato e intraprendente ma anche umile. Si dava da fare per dare un servizio, non per sentirsi protagonista o farsi notare. Frequentandolo anche durante le passeggiate o nei momenti di gioco, notavo la sua lealtà, la sua onestà e la pulizia del suo linguaggio. Era simpatico ed intelligente, aveva la maturità e il buonsenso di un adulto, ma anche la purezza e l’entusiasmo tipico dei fanciulli. Durante l’anno scolastico ci scrivevamo alcune cartoline, con anche solo una frase di saluto. Ma questo esprimeva il desiderio di mantenersi in contatto, tipico degli amici veri che non si dimenticano di te”.

E ancora una bella testimonianza ci arriva da una ragazza di allora: Silvia Pezzuto di S. Stefano Roero.“Domenico è entrato nella mia vita con una naturalezza e una simpatia che non ho mai più dimenticato. Nell’ estate dell’ anno 1984 mi trovavo ai campi scuola giovanissimi di Cesana. Mentre stavo parlando con un gruppo di amiche che, come me, facevano parte delle majorettes di Vezza d’Alba,  sentiamo un ragazzo sconosciuto che fa una battuta simpatica sul nostro discorso. Ci siamo subito voltate verso di lui e all’ unisono siamo scoppiate a ridere. Da quella scintilla, ogni volta che ci incontravamo era uno scambio di saluti e di parole amichevoli, tanto che, pur a distanza di tanti anni, mi sento di affermare che, almeno per me, in quei pochi giorni era sbocciato un piccolo legame affettuoso, non certo superficiale.

Al termine di quei giorni trascorsi tra allegria e raccoglimento, ci salutammo con la promessa di non perderci di vista. Dopo qualche giorno ci siamo reincontrati proprio in una festa di paese, mentre stavo sfilando come majorette. Ripartirono subito le risate nel ricordo della prima volta che ci eravamo conosciuti. Un mattino d’autunno, pochissimi giorni dopo, arrivò a scuola una compagna di classe di Montà che mi comunicò che Domenico era morto improvvisamente. Al sentire quella notizia rimasi sconvolta, shoccata: non ci volevo credere. Non mi davo pace! Una bella amicizia così  preziosa, appena nata, è stata stroncata  all’improvviso e in modo tanto drammatico. Non ho mai dimenticato Domenico, il suo sorriso e la sua dolcezza. Fortunatamente, dopo qualche anno ho conosciuto sua sorella Luisa con cui ho potuto rivivere un po' di quei ricordi e attingere ricchezza e consolazione da ciò che mi ha raccontato  circa la sua bontà, la sua generosità e la sua sensibilità verso chi gli stava accanto. Ancora oggi  nel mio compito di mamma e di insegnante, molto spesso mi viene in mente il caro Domenico  e lo penso vicino a Gesù, a Maria, a San Giovanni Bosco  e a San Domenico Savio, a vegliare sui bambini e sui ragazzi affinché possano essere buoni come lo è stato lui”.

AVANTI

 

 

 


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