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FOTO PIERGIANNI RIVETTI

IN CAMMINO VERSO IL MONTE DI DIO L’OREB
“Manda la tua verità e la tua luce; siano esse a guidarmi, mi portino al tuo monte santo e alle tue dimore”.  (Sal 42,3)

Come finora scritto, il tempo dell’infanzia e della fanciullezza per Daniela scorse velocemente e gioiosamente e tutto avrebbe lasciato intravvedere un bel futuro. Ma ascoltiamo sua sorella Brunella: “Tutto è iniziato ad agosto del 1988, quando in una notte calda, nel sonno, Daniela è caduta dal letto ed è svenuta. Siamo subito corsi in ospedale ad Alba dove ci hanno detto che era stata una convulsione, probabilmente in seguito ad una congestione, poiché avevamo raccontato che, la sera, aveva mangiato un gelato. In realtà era il primo campanello d’allarme che segnava l’inizio della sua malattia.

Dopo poco tempo ebbe un’altra convulsione e questa volta venne trasportata a Cuneo con l’elisoccorso. I medici che la presero in cura, iniziarono a fare esami più approfonditi, come la risonanza magnetica. Saltò subito fuori che nel cervello c’era una strana macchia. Decisero, pertanto, di operarla urgentemente. L’intervento alla testa creò subito molto spavento e preoccupazione per tutti noi, anche solo il dover dire ad una ragazzina di 13 anni che le sarebbero stati rasati completamente i capelli; ma Daniela, con il suo carattere solare, riuscì a tranquillizzare noi, dicendo che i capelli le sarebbero ricresciuti e anzi si sarebbero rinforzati. Dopo il primo intervento, la sua ripresa ci apparse subito incredibile, la sua voglia di vivere era così grande che pareva avesse subito un intervento di appendicite e non un intervento al cervello. Alcuni giorni dopo, eravamo a casa in attesa di ricevere l’istologico. Purtroppo quest’esame non arrivava e, probabilmente, era stato smarrito. Tuttavia dopo pochi mesi, alla tac di controllo emerse che quella “brutta bestia” si era riformata. I miei genitori decisero di seguire il dottore che aveva operato e curato Daniela, che nel frattempo si era trasferito a Bologna. Lo specializzatissimo dottor Fabrizi, rinomato neurochirurgo, aveva preso in carico e a cuore la nostra situazione.

Decise per il ricovero di Daniela all’Ospedale BELLARIA di San Lazzaro di Savena (Bologna). Poiché eravamo vicini al Natale del 1989, il ricovero venne fissato  per i primi di gennaio. Inizialmente mia mamma ed io stavamo in ospedale con Daniela per metà settimana, alternandoci. Facevamo circa tre viaggi a settimana a Bologna, o in auto o in treno. Stabilita la data dell’intervento, ci trasferimmo là insieme ai miei genitori per quasi tre mesi in una casa di accoglienza di suore, adibita ad uso dei familiari di ricoverati. Non dimenticherò mai quel mattino in cui  i miei genitori stavano arrivando in macchina per stabilirci a Bologna ed io ero con lei in ospedale; nella notte era andata in coma ed io, ancora minorenne, dovetti dare l’autorizzazione per l’intervento, poiché se fosse rimasta così, al loro arrivo i miei l’avrebbero trovata morta. A quei tempi nessuno aveva il cellulare: quando arrivarono Daniela era in sala operatoria e io nella disperazione. Purtroppo quell’intervento le lasciò delle lesioni, iniziò ad avere difficoltà di movimento. Pertanto dopo la  lunga convalescenza in ospedale a Bologna, ci trasferimmo all’Ospedale Mauriziano di Torino per la riabilitazione.

Durante quella degenza, Daniela si fece amare da tutti, non c’era un infermiere, un ricoverato che non passasse a salutarla ogni giorno e lei accoglieva tutti con un sorriso e una battuta scherzosa. Ovviamente non perse mai il suo sorriso e la sua voglia di vivere; riusciva a trasmettere fiducia a tutti. Tornammo a casa dopo parecchio tempo, lei ancora con evidenti difficoltà, ma sempre con una voglia di vivere grandissima. Nel mese di maggio  del  1990, sempre a Bologna, subì il terzo intervento. Questa volta le lesioni sul suo corpo furono davvero notevoli: parte sinistra del corpo lesionata, difficoltà visive e nell’ esprimersi. Ma anche quella volta tornò a casa con tanta voglia di saltare e di vivere.

Dopo l’estate ripetemmo la Tac e ci fu la triste scoperta: quella grande macchia si era riformata, ma questa volta era impossibile pensare di intervenire di nuovo soprattutto per dov’era posizionata, dietro il cervelletto.
Non ci siamo mai arresi. Io avevo lasciato gli studi poiché volevo stare con Daniela, i miei genitori non riuscivano a lavorare, abbiamo avuto grosse difficoltà anche economiche. Le cartelle cliniche di mia sorella hanno girato il mondo, con la speranza di avere un po’ di luce che, purtroppo non arrivava mai”.

Prosegue mamma Pasqualina. Il dott. Fabrizi fu un medico squisitamente umano e professionalmente ben preparato con cui instaurammo un buon rapporto di fiducia e stima reciproca. Vedendo che la situazione non migliorava, anzi che andava verso il peggioramento, così si espresse: “Purtroppo questa macchia invece di ridursi si riproduce in fretta come fosse un fungo”. A chi gli ventilò l’idea di un quarto disperato intervento, rivolgendosi a noi genitori disse che, se fosse stata sua figlia, lui lo avrebbe sconsigliato. Purtroppo sarebbe servito solamente ad aumentare la sua sofferenza”.

RITORNO A MADONNA DI LORETO
“Solo un soffio è ogni uomo che vive, come ombra è l’uomo che passa”. (Sal 38,6-7)

Purtroppo, come detto sopra, la malattia peggiorava di giorno in giorno: Daniela arrivò a perdere del tutto la vista. Il quadro clinico era talmente compromesso che, d’accordo con il medico curante, venne deciso di riportarla a casa, nella sua Madonna di Loreto. La mamma, sempre di fianco a lei come Angelo custode, nei primi giorni di questo ritorno, tenendola sottobraccio in quanto ormai praticamente cieca, la faceva passeggiare un po’ nell’ampio cortile davanti alla casa. Finché poté andò, poi, quando le forze fisiche a causa della crescente debilitazione le vennero a mancare, si mise a letto e trascorse gli ultimi giorni della sua parabola terrena coricata. Mamma Pasqualina ricorda un aneddoto alquanto doloroso ma che ci aiuta ad evidenziare ancor più la forza morale di entrambe.

Mentre Daniela stava facendo con fatica i suoi ultimi passi terreni, emise quasi uno sbuffo di stanchezza. La mamma comprese la gravità di quello sbuffo e le disse subito: “Daniela, sarei contenta di fare questo per tutta la vita!”. Lei si fermò e, rivolta verso la mamma, le afferrò la mano e le disse: “Mamma per te sì, ma per me questa non è più vita!”. Queste parole arrivarono come frecce acuminate al cuore di mamma Pasqualina e lo trapassarono. Essa provò ad incoraggiarla, ma Daniela, quasi pentita di quanto aveva detto, non rispose più nulla perché non voleva far soffrire coloro che le volevano bene.

Anche su questo punto, il ricordo di Pasqualina è molto chiaro e preciso: “Non si lamentava mai, nemmeno quando il male, di giorno in giorno progrediva e le fitte si facevano più acute. Non voleva far star male nessuno, soprattutto le persone che le erano più vicine. “Come va Daniela?” le chiedevo. E lei, raccogliendo le poche forze che aveva, rispondeva: “Bene, sta tranquilla mamma, sto bene!” Mentre noi sapevamo che il male era sempre più aggressivo.

ALTARE  VITTIMA  SACERDOTE
“Perché la mia sofferenza è continua? Perché la mia piaga è così dolorosa e non vuole guarire?”  (Ger 15,18)

La malattia, con il suo corteo di sofferenze fisiche e morali, è sempre stata per uomini e donne di tutti i tempi un enigma scottante, un problema insolubile. In definitiva, è sempre un mistero. Gesù non ha eliminato il dolore e nemmeno l’ha spiegato; l’ha invece illuminato e trasfigurato. Gli ha dato un senso dal di dentro, immergendosi e affondando Lui stesso nel dolore, in modo da farvi sprizzare una Luce che servisse per ogni età.

Così il giaciglio di Daniela divenne il suo altare quotidiano dove lentamente consumava e offriva il sacrificio del suo corpo. A quale prezzo? Lo si comprenderà bene nella sua pienezza solamente una volta arrivati come lei alla Casa del Padre. Di qui si è potuto solamente partecipare a quanto di esterno lei ha lasciato trasparire. Un’appena adolescente che si stava affacciando al balcone della vita per vedere che cosa di bello le avrebbe riservato il futuro. I suoi tanti sogni, come per ogni ragazza della sua età, imprigionati da un corpo che non rispondeva più ai suoi comandi, alla legge di una crescita normale. I tanti beni sui quali sperava, che invece dovette salutare da lontano.

Desiderava continuare gli studi, avrebbe voluto coltivare le prime amicizie con i compagni con i quali aveva condiviso un tratto di percorso umano, scolastico e catechistico. Nulla di tutto ciò… Il treno della sua vita corse in tutt’altra direzione, una meta a noi sconosciuta, ma che per lei diventava sempre più chiara e nitida. Nel suo pellegrinaggio terreno, a causa della crescente indisposizione, non poté nemmeno finire il corso medio. Mamma Pasqualina e la sorella Brunella non le parlarono, se non pochissimo, delle tappe mancate, proprio per non causarle maggior dolore. Daniela sapeva ma non si lamentava. Guardava oltre, guardava avanti.

DISFACIMENTO E FORTIFICAZIONE
“Per questo non ci scoraggiamo, ma se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4,18).

Quante volte mamma e figlia pregarono insieme! “Ma man mano che la malattia peggiorava, quella di Daniela diventava sempre più una preghiera silenziosa, personale, più che vocale” ci racconta mamma Pasqualina. Il dolore accettato pazientemente con una volontà che si irrobustiva di giorno in giorno le aveva già abbondantemente insegnato il linguaggio dell’interiorità, del dialogo personale cuore a cuore con Gesù, di quell’essenzialità che la portò a maturare molto e in breve tempo. Quando Gesù pregava, ci raccontano i vangeli, “alzava gli occhi verso il Cielo” ed entrava in comunione con il Padre. Daniela invece, quando pregava, prendeva le mani di sua mamma, le stringeva forte e così le teneva silenziosamente.

Qualche invocazione fatta insieme e il rimanente tempo lo passava in un silenzio ricco di interiorità. Quanto fosse ricco quel rapporto, si poteva capire dalla pace, dal sorriso, da quella forza di lottare che conservò fino alla fine dei suoi giorni. Anche lei avrebbe potuto dire, come l’Apostolo Paolo, “Ho combattuto la Buona Battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (Cfr. 2 Tm 4,7). A conferma di tutto ciò, ancora la sorella Daniela ci racconta: “La sua salute peggiorava, non camminava più, non vedeva più, faceva fatica ad esprimersi, ma con le dita, continuava a sgranare la corona del Rosario che teneva sempre tra le dita, per questo io ero convinta che ce l’avrebbe fatta poiché la sua fede era davvero tanta.

Ha sempre cercato di starmi vicina, di far sì che fossi di supporto ai miei genitori. Il giorno prima di morire andò in coma e solo in quel momento io avrei preso a calci il mondo intero. Non riuscivo, anzi forse non riesco ancora ora, ad accettare che una ragazza come lei, con tanta energia e voglia di vivere, con così tanta fede, ci dovesse lasciare così presto. Non riesco a capire chi cerca di togliersi la vita o chi prende brutte strade, quando al mondo ci sono invece altre persone che lottano per vivere”.



DANIELA E LA MAMMA CELESTE
Gesù disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre”. Da quell’ora il discepolo l’accolse come sua”.  (Gv 19, 26-7)

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“Non temere, io sono con te per proteggerti”  (Cfr. Ger 1,8)
Questa pagina autografa di Daniela è un vero CAPOLAVORO del suo dialogo personale con il Cielo che “veglia sul cammino dei giusti” (Sal 1,6). Questa sua esperienza, vissuta nella fase più acuta della malattia, è talmente personale che non è possibile accostarvisi se non con infinito rispetto e accoglienza del mistero. Solo Daniela e la Mamma Celeste sanno che cos’è realmente avvenuto in quell’incontro. Di seguito vengono riportati due esempi di altre due privilegiate dalla grazia divina: Santa Bernardetta Soubirous e la Beata Chiara Luce Badano. Contesti diversi e tempi diversi; eppure più elementi ci mostrano aspetti comuni e sfaccettature personali.

Leggiamo la prima esperienza:

Dalla «Lettera» di santa Maria Bernardetta Soubirous, vergine

Un giorno, recatami sulla riva del fiume Gave per raccogliere legna insieme con due fanciulle, sentii un rumore. Mi volsi verso il prato ma vidi che gli alberi non si muovevano affatto, per cui levai la testa e guardai la grotta. Vidi una Signora rivestita di vesti candide. Indossava un abito bianco ed era cinta da una fascia azzurra. Su ognuno dei piedi aveva una rosa d'oro, che era dello stesso colore della corona del rosario. A quella vista mi stropicciai gli occhi, credendo a un abbaglio. Misi le mani in grembo, dove trovai la mia corona del rosario. Volli anche farmi il segno della croce sulla fronte, ma non riuscii ad alzare la mano, che mi cadde. Avendo quella Signora fatto il segno della croce, anch'io, pur con mano tremante, mi sforzai e finalmente vi riuscii. Cominciai al tempo stesso a recitare il rosario, mentre anche la stessa Signora faceva scorrere i grani del suo rosario, senza tuttavia muovere le labbra. Terminato il rosario, la visione subito scomparve. Domandai alle due fanciulle se avessero visto qualcosa, ma quelle dissero di no; anzi mi interrogarono su che cosa avessi da rivelare loro. Allora risposi di aver visto una Signora in bianche vesti. Le domandai più volte chi fosse, ma sorrideva dolcemente. Alla fine, tenendo le braccia levate ed alzando gli occhi al cielo, mi disse di essere l'Immacolata Concezione.



Dal libro “IO HO TUTTO i 18 anni di Chiara Luce”. (Città Nuova ed. pagg.36-37)

Ci resta una registrazione in cui Chiara racconta di una visita in ospedale, quando le iniettarono un medicinale tra le vertebre per attenuare le insopportabili contrazioni alle gambe ormai da tempo paralizzate. Incide l’audiocassetta per i suoi amici GEN: “Per mantenere Gesù in mezzo a noi - dice -, cosa importantissima in questo periodo, vi volevo raccontare in breve la mia esperienza che ho fatto a Torino. Mi sono ricoverata per una visita specialistica. La paura era tanta, perché in quel momento non capivo che cosa mi avrebbero fatto. Ho capito che si trattava di un piccolo intervento, con anestesia locale. È stata un’esperienza bellissima, perché, quando i sanitari hanno iniziato a fare questo piccolissimo intervento, però fastidioso, è arrivata una persona, una signora, con un sorriso luminosissimo, bellissima: si è avvicinata, mi ha preso la mano e mi ha fatto coraggio. Io ero convinta che questa persona fosse del Movimento, perché quella luce era proprio del nostro ideale. Io ero dell’idea che i miei, che erano rimasti fuori, l’avessero fatta entrare.

A un certo punto, com’è arrivata, è sparita: non l’ho più vista. Ma sono stata invasa da una gioia grandissima e m’è scomparsa la paura. Quando sono uscita, ho chiesto ai miei genitori chi fosse, ma loro non la conoscevano. Ecco, ripensandoci non mi so spiegare che cosa fosse accaduto, ma sentivo forte di ringraziare Dio. Razionalmente pensavo: “È un caso”. Ma poi mi chiedevo: “E perché è arrivata proprio in quel momento, proprio in quella circostanza? E soprattutto con quella luce così, direi senza esagerare, soprannaturale?”. Mi sembrava un angelo. Un angelo che la Madonna mi aveva messo vicino. È stato un momento di Dio profondissimo. Ecco, in quell’occasione ho capito: se fossimo sempre pronti a tutto, quanti segni Dio ci manderebbe! Ho compreso anche quante volte Dio ci passa accanto e noi non ce ne rendiamo conto”.

Coroniamo questo sublime capitolo con quanto dice Gesù ai semplici e ai puri di cuore: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” (Mt 11,25-26).
Daniela cara, questa piccola e pura di cuore sei tu. Ecco perché hai meritato di vedere Dio (Cfr. Mt 5,8) e ora vivi immersa in Lui nella sconfinata gioia del Cielo dove “non c’è più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate. Ecco ne sono nate di nuove… ” (Cfr. Ap 21,4-5). 
Daniela grazie per il dono della tua vita perché al tuo passaggio hai lasciato tra noi “il buon profumo di Cristo” (Cfr. “ Cor 2,15 ), e una scia di luce grazie alla quale molti si incammineranno per arrivare anch’essi alla Sorgente della Luce che è Gesù.

IN LEI IL CORAGGIO DEGLI EROI
“Ti ungo con l’olio, segno di salvezza: vi fortifichi con la sua potenza Cristo Salvatore, che vive e regna nei secoli dei secoli”.  (Dall’unzione con l’olio dei catecumeni, rito del Battesimo)

La vita cristiana è una vita di grandi atleti che, nello stadio della vita, corrono verso un traguardo, con scelte coraggiose e determinate. L’atleta chi è e che cosa fa? È un uomo, una donna, forte nel fisico ma ancor più nella volontà. Il fisico, anche  se importantissimo, non è determinante come lo è invece la volontà di lottare. Quante  volte un fisico, pur non essendo prestante, ma, potremmo dire “abilitato”, grazie a una volontà di acciaio, ha dato origine a campioni famosi capaci rese spettacolari!

Le righe che seguiranno aiuteranno a comprendere ancor  più quanto, questa fanciulla, all’apparenza gracile, in realtà fosse già un’indomita guerriera. In questa testimonianza ci parla di lei la zia paterna Lidia Gallino, moglie di suo padrino Stefano, anch’esso di cognome Gallino; un mix matrimoniale tra due fratelli e due sorelle. Lidia e Stefano non avevano avuto figli, ma, in compenso, ben dodici nipoti; Daniela, essendo l’ultima di questi dodici cugini, era evidentemente la più “coccolata” e tra lei e il padrino c’era un rapporto strettissimo. Gli abbracci sinceri di entrambi erano una delle espressioni che parlavano senza avere bisogno di parole. Tuttavia anche con la zia c’era un feeling speciale.

A quel tempo loro abitavano a Torino, lei impegnata in un negozio di generi alimentari, lui autista di autobus. La fanciulla, anche desiderando cambiare ambiente,  chiedeva spesso, di poter passare qualche giorno a casa degli zii; allora papà Guido, il fratello di zia Lidia, telefonava alla sorella dicendole in buon piemontese: “ Sa-ti a ca ancheu? Përchè i-i é cola cërla che a veuȓ   andé su da ti! ”, (Sei a casa oggi? Perché c’è la vivacissima Daniela che vuole venire da te a Torino). E la zia era ben felice di accogliere la nipote. Passavano lunghe ore insieme, un po’ in casa, un po’ a passeggio, un po’ a far visita a Gesù in qualche chiesa sulla via… Ma la cosa che ricorda nitidamente la zia sono i tanti dialoghi avuti con la nipote. Ed è anche attraverso questi che si comprendeva come quella ragazzina quindici anni li avesse solamente sulla carta d’identità. L’età dell’adolescenza comporta sogni in grande, stravaganze, desiderio di libertà… Lei, invece, capendo sempre più il suo stato di salute, più volte parlando alla zia diceva: “Io lo so che devo morire” e la zia per incoraggiarla le rispondeva: “Ma cosa dici Daniela! Tutti possiamo morire…”. “Sì zia, tutti possiamo morire, ma non si sa quando; io invece so di morire presto!”. A quel punto anche la zia ammutoliva.

Poi Daniela si riprendeva subito e raccomandava vivamente alla zia di non proferire parola con i suoi genitori sul contenuto dei loro dialoghi: “perché non voglio che essi stiano male per me!”. I loro dialoghi continuarono fino all’ultimo, fino a quando praticamente non poté più parlare. Anche con la zia ha pregato tante volte: “Voleva tanto bene alla Madonna e aveva tanta fiducia in Lei… ”.  
… anche in questo periodo di grande sofferenza, sebbene Daniela annotasse questo nel suo diario personale:
21/ 5 / 1989 “Oggi ho fatto la Cresima, una piccola festicciola che si è riportata sul grande perché ero ricoverata dal 5 aprile.
Da questo giorno sono stata ricoverata ancora per una o due settimane”.
27/ 9/ 1989 “Sto ancora aspettando la cura”.  
                                                                                                       By Daniela

Essa mantenne sempre la sua innata vivacità. Dice ancora la zia Lidia: “Se uno non sapeva che lei stava male, mai lo avrebbe potuto immaginare. Saltava, ballava, scherzava, parlava tantissimo… era piena di vita come può essere un’adolescente”.
Giunti a questo punto della nostra Storia, pensiamo che sia importante cercare, sempre con profondo rispetto del mistero,  di entrare ancora una volta in Daniela e comprendere qualcosa di più di questa sua costante vivacità. Essa era solo frutto del suo temperamento focoso? O del forte impegno a non cedere per non far star male i suoi genitori e sua sorella? Sicuramente qualcosa di suo c’era, ma, ancora la zia, attraverso i suoi ricordi, forse ci aiuta a comprendere meglio, quel Qualcosa di più: “Man mano che Daniela, soprattutto all’inizio, scopriva che il male che aveva non era benigno, ma qualcosa di ben più aggressivo, subito non lo accettò bene, anzi! Però, poi, man mano che il tempo passava, avvenne dentro di lei un cambiamento e, ad eccezione di qualche momento di umana fragilità, per il resto la percezione era quella di trovarsi davanti a una Daniela DONNA a tutti gli effetti. Non si lamentava MAI! Specialmente di fronte ai suoi genitori o a quelli che sapeva che le volevano bene”. 
Lasciamoci aiutare da un’altra pagina del libro “Io ho tutto” della beata Chiara Badano ( pagg. 32-33 ).

 - Arriva il tempo di un primo intervento, seguito da una lunga chemioterapia, che non fa pensare a chi le sta intorno. A questo punto Maria Teresa, la mamma, racconta un momento decisivo della vita di Chiara, un passaggio straordinario: “Da qualche tempo ha capito che le cose si mettono male, e che ha un cancro vero e proprio. Tuttavia mantiene la speranza di guarire. Qualche giorno dopo l’intervento, chiede direttamente al medico la vera diagnosi. Viene così a sapere la verità, e che resterà calva per la chemioterapia. È forse questo particolare a farle comprendere la gravità del male: ai suoi capelli, infatti, ci tiene. Siamo a Torino, da amici, perché l’intervento ha avuto luogo al Regina Margherita. La vedo ancora arrivare nel giardino avvolta nel suo cappotto verde. Ha lo sguardo fisso, si avvicina, pare assente, entra in casa. Le chiedo come sia andata. E lei: “Ora no, ora non parlare”. Si butta sul letto, con gli occhi chiusi. Venticinque minuti così. Mi sento morire, ma l’unico modo di starle accanto è tacere, soffrire con lei. È una battaglia. Quindi si volta, mi sorride: “Ora puoi parlare”, mi fa. È fatta. Ha ridetto il suo sì. E non torna più indietro”. (Una volta sola aveva chiesto il perché di quel dolore. Dopo il primo intervento aveva infatti esclamato: “Perché, Gesù?”. Ma pochi istanti dopo aveva continuato: “Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io”). Quel sorriso che la caratterizzava da sempre, e che nei primi mesi della malattia non l’aveva abbandonata, torna più radioso ancora sulle sue labbra. Chiara ormai sa dove va. Il filosofo agnostico Emile Cioran si chiedeva: “Si è mai visto un santo gioioso?”. Chiara lo era.  
Così anche noi, possiamo affermare: DANIELA LO ERA!

 

AVANTI

 

 

 


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