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È il 4 agosto 2013, una assolata, calda domenica di inizio mese in cui la mente, di tutti è già dentro il clima tipicamente vacanziero. Ci troviamo a Castiglioncello, un paese di villeggiatura marina sulla costa livornese. Qui la famiglia Meini possiede una casa dove trascorre le ferie estive. È pomeriggio e Cesare esce di casa per andare incontro al suo Amico Elio venuto da Pontedera per trascorrere un po’ di tempo insieme. Saluta i suoi genitori con un “torno presto”, salta sulla sella dello scooter di Federico e si dirige verso il bar Ginori, luogo dell’appuntamento con Elio. Fatte poche centinaia di metri, imbocca via Macchiaioli e procede tranquillo verso la destinazione fissata. Ma, ecco, che dalla carreggiata opposta giunge una macchina guidata da una signora, anch’essa turista di passaggio sulla costa.
Probabilmente non vede il ragazzo e lo scontro frontale tra auto e scooter è violentissimo, tanto che le condizioni di Cesare appaionosubito disperate. Allertati, accorrono subito i volontari del 118 e un medico chirurgo di Pontedera che, “casualmente”, sta passando di lì proprio in quel momento. Con tutto l’impegno cerca di rianimare il ragazzo mentre viene trasportato d’urgenza all’ospedale Nuovo di Livorno. Arriva che è ancora vivo ma, a causa dei gravissimi traumi cranico e facciale subiti, poco dopo il suo ricovero rende a Dio il suo spirito. Sono circa le 16,30 del pomeriggio. Appresa la notizia dell’accaduto, mamma Gloria e papà Claudio si precipitano all’ospedale dove ricevono la notizia che Cesare è già volato in Cielo. Il loro “bimbo” ha fermato le lancette del suo tempo sul quadrante della vita, sul numero 14 anni e 5 mesi! In quel pomeriggio di agosto inizia il “calvario” della famiglia Meini, calvario che perdura tutt’ora perché, in assenza di testimoni al momento dell’incidente, per la giustizia umana “non ci sono prove sufficienti” per stabilire le responsabilità dell’accaduto.
Chi conosce la verità dei fatti non si attribuisce nessuna responsabilità. Cesare umanamente non può farsi ragione alcuna, così ai genitori, non senza sofferenza, altro non rimane che affidarsi alla Giustizia Divina alla quale non sfugge nulla poiché: “non v’è creatura che possa nascondersi davanti a Lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi Suoi e a Lui noi dobbiamo rendere conto”. (Eb 4,13) Intanto noi ancora pellegrini sulle strade del mondo, in attesa dei Cieli nuovi e della terra nuova promessi, in attesa di quella Patria dove non scenderanno più lacrime dai nostri occhi, dove non ci sarà più né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate (Cfr. Ap 21,4-5), in attesa di tutto ciò, gettiamo ogni angoscia nel Signore, e preghiamo con il salmista: “Solo in Dio riposa l’anima mia; da lui la mia salvezza.
Lui solo è mia rupe e mia salvezza, mia roccia di difesa: non potrò mai vacillare” (Sal 61,2-3), “Vengono meno la mia carne e il mio cuore; ma la roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre. Il mio bene è stare vicino a Dio: nel Signore Dio ho posto il mio rifugio, per narrare tutte le tue opere presso le porte della città di Sion”. (Sal72,26.28) Arrivederci in Paradiso, Cesare. Prega per noi tutti e la Regina degli Angeli ci accompagni in questo pellegrinaggio terreno fino all’incontro festoso con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Amen.
Cesare ci aiuti a leggere questo articolo del quotidiano Avvenire, del 27 luglio 2018, a firma di Marina Corradi: “Il dolore e l’accorato invito di una madre greca: abbracciate i figli tutti i giorni”.
Evita e Andreas Fytros, 14 e 11 anni, sono due bambini biondi che sui giornali greci sorridono in una foto al mare, insieme al papà e alla mamma. Forse lo stesso mare di KokkinoLimanaki, vicino a Mati, dove un incendio devastante ha fatto almeno ottanta vittime. Evita e Andreas sono morti con il papà Grigoris. La mamma che ha cercato per ore, invano, di raggiungerli, è rimasta sola. Nel perdere figli e marito, insieme, resta abbandonata come una casa devastata dai barbari. Ma questa donna è stata capace, in ore simili, di scrivere una lettera a un amico giornalista, che l’ha letta a una tv greca. La signora Fytros ha appena saputo che la figlia si è gettata da una scogliera per sottrarsi al fuoco, che il marito e il figlio sono stati trovati carbonizzati. Sente ancora la voce di bambino di Andreas che in un’ultima chiamata le dice: “Ho paura”. Molto di meno basterebbe per annientare chiunque.
Eppure lei ha il coraggio di scrivere: “So che mio marito Grigoris avrà fatto tutto il possibile per salvarli. E so che se non ce l’ha fatta, è semplicemente perché quella era la volontà del Signore”. Il coraggio implacabile di certe madri. Qualcosa che, forse, perfino Dio guarda con meraviglia. Come il Dio immaginato da Charles Peguy, che si stupisce e intenerisce della speranza degli uomini. La lettera è breve, pare spezzata dal pianto: “Ho finito le parole. Quando avrò riconosciuto i corpi dei miei ragazzi vi dirò con certezza che ho perduto tutto. Abbracciate i vostri figli tutti i giorni”. Abbracciate i vostri figli tutti i giorni.
Dall’apocalisse greca una donna manda un messaggio alle madri e ai padri che hanno ancora i loro figli. Con tutti i problemi che danno i figli, quando cominciano a crescere. E con i quali quindi ci si arrabbia: perché non studiano, o tornano tardi la sera, o non alzano gli occhi dallo smartphone e a tavola neppure parlano. Ci si arrabbia con i propri ragazzi, o si sta male in silenzio, senza sapere trovare parole.
Li si guarda diventare grandi e possono sembrare ogni giorno un po’ più stranieri. Forse anche in casa Fytros, con la figlia quattordicenne, cominciavano a farsi avanti le prime inquietudini? Ma, “abbracciamoli tutti i giorni”, esorta questa madre, come un soldato reduce dalla più crudele della battaglie: e le sue parole dovrebbero risuonare gravi e forti a noi. Abbracciarli tutti i giorni bisogna, i figli, qualsiasi cosa accada, qualsiasi sia il problema. Anzi, meglio forse, abbracciarli ogni sera: perché, come ricorda spesso Papa Francesco,la notte non cali sul risentimento e la mattina si ricominci da capo. Abbracciarli, mettendo da parte per un momento tutto ciò che non va in loro e in noi: tirare un respiro profondo di pace.
Tante volte sentirsi abbracciati vale più di cento rimproveri. Sentire che tua madre o tuo padre, ti abbraccia comunque, così come sei. Una madre testimone dell’inferno, una madre orfana, ci lascia nell’ultima riga di una lettera la raccomandazione più importante. Abbracciateli tutti i giorni, i vostri figli. Non siate smemorati, non scordate mai la gratitudine di averli avuti e di poterli stringere. Magari pigri, svogliati, ribelli, bocciati. Ma, meravigliosamente vivi.
“Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete: la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?”. (Mt 6,25-27).
CESARE, GRAZIE DI TUTTO. GRAZIE DI ESISTERE!
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