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UN GIOVANE ALLA RICERCA DI QUEL QUALCOSA DI PIÙ!
“Ora ci vedo” (Gv 9,15)
GIUSEPPE SI RACCONTA
Carissimi, eccomi, mi presento. Mi chiamo Giuseppe Castiati, sono nato a Canelli (AT) il 5 dicembre 1976, atteso da tutti con grande gioia. Dopo quattro giorni, sono entrato nella mia famiglia a Castagnole Lanze (AT) insieme ai miei genitori e mio fratello Enrico. Quanto affetto ho ricevuto tra le mura di casa, quante coccole, quanti sorrisi. Pochi giorni dopo la mia nascita ecco un altro grande momento di festa: il 26 dicembre, giorno di S. Stefano, nella mia parrocchia di S. Bartolomeo ho ricevuto il dono del Battesimo. Allora non potevo comprendere; oggi invece so, che se i miei genitori non avessero chiesto per me questo dono, non sarei qui dove mi trovo ora! Benedetto il Signore perché in quel giorno ha messo in me alcuni semi molto importanti: “semi” che hanno continuato a lavorare nel segreto del cuore, anche nei passaggi più bui e difficili della mia vita.
Il Battesimo mi ha impresso un segno indelebile, illuminando tante mie scelte e incoraggiandomi a tentare le traversate. In tanti momenti mi ha reso più forte, più coraggioso, fino al punto di irrigare ciò che era secco, facendolo rifiorire. Quant’è vero questo! La Vita divina, iniziata in me con il Battesimo, si è rafforzata con altri due importanti sacramenti: la mia Prima Comunione avvenuta il 4 aprile 1985 e la Cresima ricevuta il 27 maggio 1990. Sono stati momenti importanti, così come le preghiere, gli incontri di catechismo, l'ascolto della Parola di Dio, le tante e forti testimonianze di persone incontrate in diversi momenti della mia fanciullezza, gli insegnamenti dei miei cari …
Se tutto questo, da una parte mi ha aiutato a formare in me una coscienza sensibile, dall’altra ha contribuito a rendermi uno spirito irrequieto. Perché, vi chiederete? Perché la mia vita è stata una breve esperienza di 33 anni, sempre proiettata verso la ricerca di quel “qualcosa di più” che riempisse il mio cuore. Pensavo, riflettevo, volevo comprendere il perché di tante cose che mi si presentavano davanti. Perché vivere? Perché soffrire? Perché morire? Queste domande esistenziali, non avendo sempre una risposta, contribuirono a pormi in un difficile rapporto con la mia quotidianità. Per parecchi anni mi ha accompagnato la forte tentazione di “fuggire da me stesso”, di riempirmi di cose illudendomi che fossero “la risposta” al mio bisogno di altro.
Durante questa mia costante ricerca, anche se non me ne rendevo conto, la Divina Provvidenza ha sempre vegliato su di me. E, nell’intenso silenzio della chiesa di Neive (CN), esattamente il 30 dicembre 2009, mi ha condotto faccia a faccia con la Verità: Gesù! Io non potevo immaginare, ma lui per anni aveva atteso quel momento. Prima d’allora avevo sentito parlare di lui tante volte, soprattutto da mia mamma e da mia nonna, ma non avevo mai dato la dovuta importanza alle loro parole, sempre immerso nella mia grande inquietudine. Ero costantemente alla ricerca di qualcos’altro, ignorando che quanto stavo cercando era in realtà molto più vicino di quanto pensassi. Era in me, ma io non lo sapevo!
Quella sera, nel silenzio, allo splendore della Sua Presenza e nell’intensità della sua parola, Gesù ha iniziato ad aprirmi il cuore. Nella quiete dei sensi ho compreso la parabola che racconta la nostra storia, la storia di ciascuno di noi. La parabola del “Padre Misericordioso” in Luca 15, mi ha aiutato a leggere il mio passato e a tuffarmi in un nuovo presente per proiettarmi nel futuro. Un futuro molto vicino.
IL PADRE MISERICORDIOSO
Un uomo aveva due figli, uno più grande e uno più giovane. Il più giovane, stanco della vita normale fatta di sacrifici, di lotte, di rinunce per arrivare a conquistare le cose, andò dal padre e gli disse: “Padre, dammi la parte di eredità che mi spetta”. Il padre, che ci ha creati liberi ed intelligenti, diede subito al figlio la parte di patrimonio che gli spettava; cioè i giorni della sua vita da gestire liberamente insieme a tutti i talenti personali. Questo giovane inesperto, senza trovare il tempo di ringraziare, raccolse quanto gli aveva dato il padre e partì in fretta per un paese lontano dove, però, sperperò ben presto tutto ciò che aveva, vivendo tante scelte sbagliate. Questo modo di vivere non durò molto perché, come dice un antico proverbio: “tutti i nodi arrivano al pettine”.
Infatti, questo figlio più giovane, dopo aver sciupato tutto ciò che aveva ricevuto dal padre, cominciò a sentire la fame. Per di più in quel paese lontano, dove era andato alla ricerca di “quel qualcosa di più”, venne la carestia. Come fare per superare quel momento “non calcolato” di ristrettezze, di fame, di sete, di solitudine? Secondo la logica umana: cercando di procurarsi altre soluzioni. La sua “fantasia” era persino arrivata a portarlo a bussare alla porta di un grande allevatore di bestiame di quella regione che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Egli avrebbe voluto riempire il suo stomaco almeno con le carrube che mangiavano i porci ma, ahimè, non ce n’era a sufficienza per soddisfare le esigenze di entrambi, pertanto non poté mangiare nemmeno quelle.
Che strana storia! Tra me pensavo: questo figlio cercava la libertà lontano da suo padre e si era dovuto abbassare a custodire dei porci e praticamente a chiedere loro “l’elemosina” di un po’ delle carrube riservate al loro pasto quotidiano. Ma proprio perché era arrivato fino a quel punto, poté iniziare a comprendere qualcosa di molto importante, quel qualcosa che lo avrebbe aiutato a cambiare radicalmente il senso della sua vita.
Mosso dalla solitudine e dalla disperazione che lo stavano attanagliando, eccolo rientrare in se stesso e dire: “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e qui io muoio di fame”. Quel “pane in abbondanza” era la gioia di sentirsi accolto e amato in quella casa che lui aveva scelto di abbandonare. Invece “la disperazione” era il frutto della tristezza, della paura e della solitudine, sentirsi vuoto e raggirato quando credeva finalmente di poter possedere il mondo tra le mani. Allora prese una decisione forte e dopo la via dell’errore scelse quella dell’umiltà. Pensò… mi leverò, tornerò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi servi.
Dalla riflessione passò ai fatti. Si alzò, partì e tornò da suo padre. Ed ecco un impensabile colpo di scena. Il padre, anche se tradito e abbandonato, non solo non rinfacciò niente al figlio, sbattendogli la porta di casa in faccia, ma, mentre era ancora lontano lo vide arrivare, fu mosso da compassione e corse a gettarglisi al collo, lo abbracciò, lo baciò a lungo. Il figlio non si aspettava questa reazione da quel padre che egli aveva ingiustamente giudicato, ritenendolo incapace di novità, incapace di “comprendere” le esigenze dei giovani … Ora se lo ritrovava davanti, commosso, con il cuore aperto, felice del suo ritorno.
Riconoscendo il suo errore gli disse: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. A quel punto il Padre misericordioso lo interruppe e non lo lasciò terminare il suo atto di pentimento. Il figlio aveva sbagliato, ma aveva riconosciuto il suo errore: quello era il momento di gioire, di fare festa. Così il Padre ordinò ai suoi servi: “Presto, portate il vestito più bello e metteteglielo addosso, infilategli un anello al dito e i calzari ai piedi. Prendete il vitello grasso e facciamo festa …”. Come il figlio era stato impaziente nel partire, così il Padre lo era altrettanto nel festeggiare il suo ritorno.
La veste più bella è diventata segno della dignità ritrovata, l’anello al dito segno di un’amicizia che sembrava ormai essersi spezzata per sempre, i calzari ai piedi segno della nobiltà e della figliolanza ritrovata, il vitello grasso segno della gioia estesa a tutta la creazione. Quel figlio non credeva ai suoi occhi e il suo cuore rimase sbigottito davanti a quella “risposta” che il Padre gli aveva preparato. Non riusciva a comprendere…. e il Padre gli spiega il motivo di tanta accoglienza: “Mangiamo e facciamo festa, perché mio figlio era morto ed è ritornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato”.
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