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“Don Stefano Piacentini? Una meteora, una presenza luminosa che lascia in tutti noi il segno. Il breve tempo trascorso tra noi lo vive in modo intenso e vivo. Viene assegnato dal parroco al “mondo” magari difficile da capire, da seguire, da coordinare, dei piccoli, degli adolescenti, dei giovani impegnati nel proprio cammino di formazione e di crescita. Eppure don Stefano con la sua semplicità di “uomo vicino all’uomo” e con la sua profondità umana e cristiana, riesce in breve tempo a far breccia in molti che con il “don” si confidano, discutono e affrontano i loro piccoli e grandi problemi. Oggi molti di quegli adolescenti e giovani sono animatori dei più piccoli in un cammino di crescita. Don Stefano, una guida per chi vuole diventare adulto. Non è certo facile essere uomini, soprattutto sacerdoti, ma lui lo fa con umanità e capisce molto bene come essere testimone di Cristo. Concreto, diretto e sempre disposto al dialogo. Ama profondamente la musica e nelle Sante Messe il canto è sempre un momento forte. In parrocchia ci sono due realtà corali: la Corale San Nicola ed il Coro Arcobaleno di Voci. Il suo sostegno non manca! È un suo modo per pregare Dio e per fare comunità. Al suo saluto per la nuova missione a S. Giuseppe Fuori le Mura ci siamo sentiti un po’ orfani di un Amico, di un confessore, di un fratello. Sappiamo però che dovunque sia continua a seminare stimoli e forza come con noi. Carismatico e intraprendente, capace di amicizia aperta e contagiosa, anche tra “colleghi” preti dello stesso territorio. Rimane preziosa la sua pastorale disponibile e intelligente della pratica della “direzione spirituale” pur nel limitato periodo di ministero nella Bassa Veronese. Grazie don Stefano, veglia su di noi e donaci la forza per andare avanti e il coraggio di testimoniare la nostra presenza di cristiani nel mondo”.
(Don Sergio Fasol, parroco di S. Giuseppe Fuori le Mura- Verona)
La presenza di don Stefano nella comunità di S. Giuseppe Fuori le Mura? Un cortometraggio avvincente e fecondo!Io e don Stefano stiamo insieme solo tre mesi, tuttavia è l’inizio di una costruzione, di un affiatamento che fa sperare bene, non solo per i destinatari della sua azione pastorale ma, anche e prima ancora, per noi preti, per una vita fraterna e spiritualmente orientata. In lui fa capolino, senza imposizioni, la spiritualità del movimento dei Focolari che egli frequenta. Quante lunghe chiacchierate notturne, colloqui nei quali c’è scambio di pareri e proposte. Di lui colpisce non solo la disponibilità per il mondo giovanile propriamente detto (cosa abbastanza normale in un prete giovane), per i fidanzati e i gruppi famigliari, ma anche per la sua cordialità vero le persone ormai avanti con gli anni. Don Stefano è un prete ricco di doti. Anche ora può fare molto per noi, intercedendo grazie e favori dal cielo. Nel mio libro della quotidiana liturgia delle Ore tengo la sua foto. La guardo spesso, fisso i suoi occhioni, in un mai spento colloquio, gli chiedo tutt’ora, nella preghiera, luce e aiuto. Grazie don Stefano”.
27 DICEMBRE 2000: CHIAMATO ALLA LITURGIA DEL CIELO
Come le altre, anche questa nuova giornata inizia in modo luminoso. Preghiera, sorrisi, sogni e progetti. Dopo il tour natalizio si prepara per qualche giorno di riposo, ma con lo sguardo al programma liturgico delle rimanenti feste. È contento e guarda avanti. Esce di casa e con la macchina si mette sulla tangenziale nord di Verona, entra in un sottopassaggio ma da lì ne esce in un modo diverso da quello previsto … perché un camion sbanda, lo prende in pieno e per don Stefano, umanamente parlando, non c’è più nulla da fare, se non constatarne il decesso immediato. Termina così la sua brevissima corsa sulla terra proiettando ora pienamente il suo sguardo pulito, generoso ed entusiasta, in quei “Cieli e terra nuovi” in cui ha creduto e di cui si è fatto “via” per molti. Lui così passa dalla terra al Cielo, ma la sua testimonianza lascia il segno indelebile. Quante cose di don Stefano si possono aggiungere a quelle finora scritte! Tuttavia poche righe apparse sulla pagina Resurrecturis, di Verona Fedele, del 7 gennaio 2001 a nome di Lucia Beltrame Menini, riassumono molto bene pensieri e sentimenti del momento. “Mai avrei pensato di incontrarti là (cappella dei parroci di S. Pietro di Morubio), nel luogo del tuo riposo eterno. Non voglio credere, eppure la cappella è ricoperta di fiori bianchi, segno del tuo passaggio. Guardando però con gli occhi della fede, ci inchiniamo alla Volontà e ai disegni di Dio, come ci insegni tu. La mia mente ti vede don Stefano, vestito dei paramenti candidi, splendente di luce, come Angelo purissimo alla destra del Padre, nella gloria del Cielo. Così il tuo spirito esce vittorioso sulla nostra fragilità umana e noi sappiamo di poter contare su di un protettore in più. Continua a custodirci e a pregare per noi, per la tua mamma, il tuo papà, tuo fratello, e i tuoi cari e tutti noi tuoi fratelli e sorelle in Cristo”. E in un altro articolo del 28 gennaio 2001, Francesco Favalli, completa: “Ricordandolo ancora presi dal dolore e dal pianto, testimoniato dall’enorme folla che ha preso parte ai suoi funerali, dobbiamo rifarci a quanto S. Paolo dice in una delle sue lettere: “Imperscrutabia Dei” (Segni imperscrutabili di Dio). Non ci resta che pregare don Stefano non con il suffragio, come detto da Mons. Veggio, ma come un angelo che il Signore ha voluto offrire alla Sua Chiesa, ai suoi cari e alla Comunità. E qui si può applicare l’invito che S. Giovanni Calabria rivolge ai sacerdoti novelli: “Siate Vangeli viventi; e rimanete sempre sacerdoti novelli”. E don Stefano lo era e lo sarà sempre. Tempo addietro in una lettera scritta da un sacerdote nel lontano 1915 a una madre della parrocchia di S. Pietro di Morubio per la perdita di un figlio, avviato al sacerdozio e della stessa spiritualità di don Stefano, così termina: “Gli angeli non sono per vivere su questa terra”. Un’espressione che ben si addice al nostro don Stefano!”.
Ed ecco apparve una folla immensa, impossibile a calcolare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua; ritti dinanzi al trono e dinanzi all’Agnello, vestiti di veste bianca, con palme in mano gridavano con voce potente: “La salvezza al nostro Dio che siede sul trono come pure all’Agnello”. E tutti gli angeli che stanno in cerchio intorno al trono, si prostrarono con la faccia contro terra per adorare Dio. Dicevano: “Amen. Lode, gloria, sapienza, ringraziamento, onore, potenza e forza al nostro Dio per i secoli dei secoli. Amen”. Uno dei vegliardi prese la parola e mi disse: “Queste persone vestite di bianco chi sono e da dove vengono?”. Ed io gli risposi: “Mio Signore, tu sì che lo sai”. Egli rispose: “Sono quelli che vengono dalal grande prova: hanno lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello. Ecco perché sono qui davanti al trono di Dio e lo servono giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà su di loro la sua tenda. Non soffriranno più né la fame né la sete; non saranno più morsi né dal sole né da altro vento sferzante. L’agnello che è in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle sorgenti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi”. (Ap 7,9-12)
LA FAMIGLIA CRISTIANA
Quante cose belle abbiamo visto nella vita di questo giovane sacerdote, e quante se ne possono ancora dire! Ma è molto importante, a questo punto, fermarsi e porci un’interessante domanda: ma don Stefano da dove ha attinto tanti tratti importanti del suo essere uomo, dell’essere prete? Innanzitutto è Gesù che dà una risposta ben precisa: “Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni”. (Mt 7,16-18) Ecco la risposta: la sua famiglia è stato il primo e più importante laboratorio di formazione del suo spessore umano e cristiano. Una famiglia dai sani principi e moralmente forte. La Legge di Dio è la regola fondamentale da seguire e alla quale fare costante riferimento. La preghiera è il respiro di ogni scelta, è il “telefono senza fili” che mantiene forti i legami ovunque ognuno si trova. La pratica della vita sacramentale è qualcosa di normale e di necessario per “stare in piedi”. E questo sempre: prima, durante e dopo. Anzi dopo ancor di più! Mentre papà Luciano parla del figlio, racconta come fosse la cosa più normale di questo mondo: “Quando don Stefano parte da casa per tornare a Verona o dove la missione lo chiama, sapendo quanti e quali pericoli morali si trovino lungo la strada, io e mia moglie impugniamo la corona del Rosario e preghiamo per lui. Noi non possiamo seguirlo, allora preghiamo per lui affinché Gesù e la Madonna lo proteggano, tengano sempre la loro mano sulla testa e sul cuore”. E questo, ripetiamo, come fosse la cosa più normale che un genitore deve fare per la salvezza, non solo fisica, del proprio figlio. Bastino queste altre parole scritte di suo pugno, pur con il cuore spezzato dal dolore, per il libro del 10° anniversario: “Mio figlio Stefano, con la grazia di Dio e la buona volontà a 24 anni è stato ordinato sacerdote. Durante tutta la vita lo abbiamo accompagnato con molta preghiera, specialmente la mamma; dopo due anni di sacerdozio il Signore lo ha chiamato a Sé. Ricordo che con molta rassegnazione mia moglie Silvana diceva: “Dio me l’ha dato e Dio me l’ha tolto: sia fatta la Volontà di Dio”. Caro don Stefano, ora che sei tornato alla Casa del Padre, intercedi per noi, per i giovani, per la nostra comunità. Grazie don Stefano. Tuo papà Luciano”. E il fratello Pier Giorgio completa: “ Caro Stefano, con papà alzo gli occhi al cielo per pensarti, per parlarti, pregarti. Mi accompagnano lunghi silenzi ricchi di pensieri, di energia, insieme all’amore che la mamma ci ha donato totalmente e che ora una lacrima ci impone di fissare, per sempre!”. (Pier Giorgio con Lisa) “Oggi – continua – non riuscirei a scrivere una riga … se non una preghiera che è il Veni Creator Spiritus”. (Da un sms del 1 giugno 2018)
UNA MADRE, UN FIGLIO
Non è possibile parlare di un figlio sacerdote senza parlare di sua madre. In merito rimane sempre interessante l’aneddoto della mamma di S. Pio X, al secolo Giuseppe Sarto, di Riese (TV). Famiglia molto povera, la sua. Con grandi sacrifici lo fa studiare, arriva al sacerdozio, per poi essere eletto vescovo e inviato dal Papa a reggere la diocesi di Mantova. La mamma sua, rimasta ovviamente una donna modesta di campagna, lo va a trovare e gli porta qualche prodotto genuino confezionato da lei. È felice di vedere dove è arrivato suo figlio. Mentre stanno dialogando, “el so Bepi” (come si usa dire nel dialetto Veneto), orgoglioso le fa vedere l’anello episcopale che porta al dito. “Mama varda che anelo!”. E lei, con disarmante semplicità, gli fa vedere la fede che porta al dito e gli ricorda una verità fondamentale. “Caro el me Bepi, se mi non gavese vù questo, ti, adeso, non te gavaresi quelo!” (Se io non avessi questo anello matrimoniale, tu non potresti avere quello episcopale). Ecco perché, scrive Lucia Beltrame Menini, “accanto a don Stefano, in simbiosi, mi compare davanti il dolce viso di sua mamma Silvana, una donna delicata e forte allo stesso tempo, che ispira profonda simpatia per la sua semplicità nel modo di fare e dotata della capacità di mettere subito l’interlocutore a suo agio. È mia convinzione che dietro ad ogni santo sacerdote ci sia una santa mamma. Ho modo di avvicinarla quando porta la Comunione ai miei anziani (è ministro straordinario dell’Eucaristia) e presto tra me e lei nasce un feeling tangibile. Vuoi anche perché i figli hanno la stessa età: si entra in sintonia per argomenti, idee, gioie, preoccupazioni. Ad ogni occasione si riprende il discorso, in un dialogo spontaneo, come se ci si fosse lasciate da poco. Quanta fede cristiana, quanta trepidazione, quanto amore silenzioso per i figli, quanto santo timor di Dio. Segue Stefano, avviato al sacerdozio, costantemente, contenta della varie tappe che il figlio riesce a raggiungere. Quando diventa sacerdote la sua gioia è immensa come, solo qualche anno dopo, grande è il suo dolore, che depone ai piedi della croce. Cooperatrice di Telepace, mi manifesta la preoccupazione per la sua salute. Vado a farle visita all’ospedale, la trovo provata dalla sofferenza, ma mi sorride con una serafica accettazione, conferma della sua straordinaria sensibilità e profonda fede. Silvana cessa il suo viaggio terreno il 2 luglio 2003. Ora lei e Stefano ci sono più vicini di prima. Mi piace pensarli uniti, con il loro sguardo riflesso nella luce divina, insieme a tutti i nostri cari”.
RICORDARE DON STEFANO
Scrive don Stefano in un foglio, trovato nella custodia della sua pianola, assieme ad altri racconti ed episodi adoperati per la catechesi; riferendosi alla morte: “… ciò che fa problema non è la morte in sé … non vuol dire nemmeno bendarsi gli occhi di fronte alla realtà nuda e cruda, ma innamorarsi strettamente dell’Unico Essenziale per la nostra vita: l’Amore che è Dio, il Tutto, l’Unico Tutto per noi”. ( don Bruno Zuccari)
“Io sono la Risurrezione e la Vita; chi crede in me, anche se fosse morto, vivrà, e chiunque vive e crede in ME non morirà in eterno. Credi tu questo?” (Gv 11,25-26)
APPENDICE
“LE RAGIONI DI UNA VOCAZIONE”
Di Stefano Piacentini (dalla rivista Il Seminario, giugno 1998)
Ricordo che qualche anno fa ad un campo scuola un adolescente mi chiese: “Tu sei in Seminario, quindi hai la vocazione … ho sentito dire che la vocazione è Dio che chiama; ma cosa mai ti ha detto?”. Aveva da poco letto al campo la vocazione di Samuele, che per tre volte si era sentito chiamare, credendo che fosse Eli. Probabilmente si attendeva da me lo stesso copione. Mi piace però riassumere la mia storia, non tanto sotto una “voce” particolare, quanto piuttosto sotto quello “sguardo di fede” che è pure dono di Dio, del Suo Spirito in noi. Sono passati quattordici anni da quando sono entrato in prima media in Seminario. “Così tanti!”, direte. A dire il vero, ciò che in qualche modo mi stupisce di più, non è tanto lo scorrere veloce di questi anni, ma l’insieme di quelle esperienze, vicende e incontri che sono la trama della vocazione stessa. È stato proprio attraverso il rapporto con alcune delle persone che conoscevo (e la loro testimonianza) che ho potuto intraprendere questa avventura, alla scoperta del significato della mia vita. Tanti mi chiedono se, all’età di undici anni, avessi già la vocazione: è come se si chiedesse ad un seme dove siano il suo tronco, i suoi rami, le sue foglie, i suoi frutti … È stato necessario attendere la maturazione, imparare a conoscere i segni e i tempi di Dio … Essendo entrato presto in Seminario, nel mio caso il maturare della vocazione è stato parallelo al maturare della fede. In questo senso devo una grande riconoscenza al Seminario Minore, proprio in ordine alla ricchezza cristiana e quindi umana, che ho ricevuto. In Seminario ho potuto sperimentare la vita di comunità, condividendo non solo i tempi e gli spazi con gli altri compagni, ma soprattutto l’intensità spirituale del vivere assieme: è lì che, secondo il Vangelo, ci è dato di fare una delle esperienze più forti della presenza di Dio (“dove due o tre sono riuniti …”:Mt 18,20). È stato qui che ho attinto la voglia di donarmi agli altri, la fedeltà al servizio, alla preghiera … la capacità di appassionarsi per ciò che merita davvero. Oltre al seminario, fondamentale è stato l’incontro con più parrocchie, lavorando con le diverse fasce d’età: dalla mia comunità di appartenenza, San Pietro di Morubio, sono passato quattro anni fa ad Asparetto, il sabato e la domenica; l’anno scorso a Zevio e quest’anno a Bovolone. È stata un’esperienza unica, nel senso che l’incontro con persone nuove e con realtà diverse da quelle che in precedenza avevo visto, davvero mi han permesso di crescere nei rapporti umani: ed è qui che passano i gesti, segni di ascolto, di dialogo, di confronto … e il Vangelo stesso. Spessissimo mi è capitato di notare come nelle circostanze più impensabili, con gente mai vista prima, quando si arrivava a parlare di Dio – avvertendo in qualche modo la Sua presenza tra noi – scattava subito un “nuovo” modo di leggere i fatti della vita, alla luce della Sua Parola. Mi colpiva soprattutto il fatto che con queste persone, del tutto sconosciute a me, subito si creava quella confidenza che, di solito, è il frutto maturo di un’amicizia. Fede e … vita quotidiana. Situazioni, a volte complesse, e Parola di Dio. Questo scambio è una delle esperienze che riempiono maggiormente la vita, rendendola contagiosa e aperta agli altri. “Fare esperienza di Dio”: per qualcuno può sembrare un’idea campata in aria ed invece è l’esperienza più coinvolgente, l’attrattiva del tempo moderno. Essa consiste – come ho trovato scritto da qualche parte – nel penetrare nella più alta contemplazione, rimanendo in mezzo alla gente, nel segnare sulla folla ricami di luce, informandola sul divino. Approfitto di queste righe per ringraziare quanti in diverso modo ho incontrato e quelli che mi hanno accompagnato lungo il cammino formativo di questi anni. Per me ora l’ordinazione è sì il tempo per tirare un po’ le somme, ma soprattutto un nuovo inizio, una nuova prospettiva, una cambiale in bianco, come si suol dire. C’è sì un po’ di lecita trepidazione, ma anche tanta fiducia nei doni e nelle persone che Dio non mancherà di pormi continuamente accanto”.
Libro in ricordo di don Stefano Piacentini (Parrocchia di S. Pietro e Paolo apostoli San Pietro di Morubio - Verona) NEGLI OCCHI IL CIELO - a cura di Lucia Meltrame Menini - F.lli Corradin Editori. Scarica copertina
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