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Francesco e Davide Gennero
“Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei Cieli” ( Mt 5,15-16 )
Il nostro Giardino si sta preparando ad accogliere non uno, ma ben due NUOVI FIORI, due Angeli nati al Cielo nello stesso giorno: i fratelli Davide e Francesco Gennero. Questa nuova dolorosa e gloriosa Storia, si svolge nel comune di Cavallermaggiore, un piccolo paese in provincia di Cuneo in Piemonte, situato sulla sponda destra del fiume Maira. Il nome verosimilmente, fin dall’antichità, deriva dalla presenza di allevamenti di cavalli da tiro. I latini chiamavano equus il cavallo elegante da carrozza e caballus quello da carretta. Caballarium era il luogo dove i cavalli venivano allevati. Questo paese fu anche, per un lungo periodo, la residenza di Ascanio Sobrero, inventore della nitroglicerina. L’avventura di Davide e Francesco si svolge nella frazione di “Madonna del Pilone”, che dista 5,09 chilometri dal comune di Cavallermaggiore, di cui essa fa parte. Un fazzoletto di terra circondato da una grande distesa di campi di mais.
È giovedì 3 settembre 2020 e, fin dalle prime ore del giorno, in casa Gennero c’è fermento. Quel mattino è necessario sistemare il mais nel grande silos che troneggia nell’ampio cortile; il mais serve per l’alimentazione dell’ allevamento di maiali dell’azienda agricola di famiglia denominata: “Cascina Tetti Schiappati” o “Azienda agricola la Pilonese”. La colazione mattutina è abbondante perché ci vuole energia per affrontare il lavoro di preparazione del mangime per gli animali. Per svolgere tale operazione si deve salire sul tetto del silos, calarsi dentro attraverso una botola, spianare il mais e posare una fresa affinché peschi la razione di mangime quotidiano.
Questo lavoro si può fare solo manualmente. La famiglia Gennero lo ha fatto tante volte ed è sempre filato tutto liscio; quel mattino, però, qualcosa evidentemente non ha funzionato. L’orologio segna le 08,30 circa. Francesco dalla botola si cala all’interno del silos riempito da poco, con il cumulo di mais a pochi metri dal tetto. Le esalazioni sprigionate dal mais trinciato per lo stoccaggio, però, gli fanno perdere i sensi, Francesco sviene e si accascia al suolo. Suo fratello Davide, l’unico ad assistere alla scena, mossodall’istinto entra anche lui nel silos nel tentativo di salvare il fratello: le esalazioni non lasciano scampo nemmeno a lui, che accusa gli stessi sintomi.
Purtroppo, quell’atto di generosità, porta anche lui a subire la stessa sorte perché, dopo pochi secondi, anche lui si accascia a terra. Ogni istante passato là dentro è ormai questione di vita o di morte. Sarà il fratello più giovane Nicola a capire che là sopra sta succedendo qualcosa di grave, chiamato lo zio, fa scattare l’allarme. Sul posto intervengono 118, Vigili del fuoco, Carabinieri e, successivamente, lo Spresal dell’Asl. I pompieri giungono anche con l’autoscala, per raggiungere la cima del silos, alto una ventina di metri da terra. Purtroppo per Davide, i soccorsi si riveleranno vani: i sanitari, accorsi sia con l’ambulanza che in elisoccorso, non potranno far altro che constatarne il decesso. Il fratello Francesco, invece, dopo le manovre rianimatorie, in condizioni gravissime, viene trasportato d’urgenza presso l’ospedale Santissima Annunziata di Savigliano.
Entrato in un coma irreversibile, non dà segni di ripresa, e i medici – anche in questo caso – ne constatano il decesso nel pomeriggio di sabato. Di lui vengono donati gli organi. Prima Davide all’età di 22 anni e, dopo, Francesco di 25, passano da questa terra alla patria del Cielo nel caldo tepore di settembre. Solamente il buon Dio, quando arriverà il tempo, potrà sciogliere i sigilli di quanto là accaduto. Al funerale dei due giovani fratelli, celebrato nel cortile dell’azienda, mercoledì 9 settembre, all’ombra di quel silos visibile anche da lontano con sopra scritto il nome della famiglia, davanti a migliaia di persone, papà Claudio senza aver preparato nessun discorso scritto, pronuncerà le seguenti eroiche parole:
“Non voglio farvi discorsi strappalacrime, ne abbiamo già versate tante. Voglio aggiungere due parole di speranza per mia moglie, per la mia famiglia e tutti voi. Avete sofferto con noi in questi sei giorni, non ci sono state visite di cortesia ma abbiamo visto la sofferenza nei vostri occhi, e questo ci ha dato tanta consolazione. Questi due figli hanno raggiunto lo scopo per cui sono stati creati: il Paradiso; crediamo vivamente che siano in Cielo. Mi sento di dire che noi non abbiamo nessun merito, sono solo un agricoltore, ma trent’anni fa con mia moglie abbiamo creduto che si potesse fare una famiglia diversa, una famiglia felice e questo è merito della Madonna. È merito del nostro parroco don Filippo, andato in Cielo 4 anni fa.
Io e mia moglie siamo cresciuti nella fede, nelle nostre battaglie e nelle difficoltà, ci abbiamo creduto fino in fondo. Invito i giovani, ora che siamo di fronte a un fatto che non riusciamo a capire, a credere alla forza della Madonna. I nostri figli ci hanno dato tanta gioia, abbiamo pregato con loro durante il Covid davanti al pilone che abbiamo costruito per i nostri trent’anni di matrimonio. Voglio credere che il Signore ci darà motivo di gioire di nuovo e, attraverso questo sacrificio, farà grandi opere. Vi invito a rispondere non solo a questo momento sentimentale ma dire di sì alla vostra vita e ai vostri progetti, vedrete che potrete fare famiglie felici. Che il Signore ci accompagni tutti”.
Ma da dove la forza dei genitori di Francesco e Davide?
Sicuramente i loro “segreti” sono molteplici, tuttavia il loro Amore per la Parola di Dio è il fondamento di tutto ciò che è avvenuto nei giorni sopra descritti. Leggiamo insieme questa parola di Gesù che soprattutto in questo contesto, potrebbe suonare veramente fuori luogo e invece, vedremo, che non è proprio così! Nel Vangelo secondo Luca, Gesù insegna che: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc 14,26). Ma quale significato edificante può avere un’affermazione simile in mezzo a tanto dolore? L’odio non è una cosa bella, che ci fa nel Vangelo questa parola?
E soprattutto cosa ci fa accostato alle cose a cui teniamo di più, come, in questo caso, possono essere i figli? Ebbene, invece è proprio qui che papà Claudio e mamma Daniela Ternavasio, giocano la loro fede, al tutto per tutto. Con le parole del Vangelo di Luca, Gesù non ci sta chiedendo di fare del male a chi si ama o a noi stessi, ma ci chiede di ricordarci in maniera disincantata che, per quanto noi possiamo amare qualcuno o noi stessi, nessuno potrà mai essere Dio al posto di Dio. L’amore sincero che abbiamo per qualcuno, fosse anche il figlio, marito, moglie, genitori ci ricorda di più Dio che li ha creati e amati per primo, ma che essi non sono Dio.
Trattarli come se lo fossero paradossalmente significa rimanere delusi e far loro seriamente del male. In questo senso Gesù chiede di non dar loro il posto fondativo perché altrimenti li si carica di una responsabilità insopportabile per loro e per l’amore stesso. Solo quando Dio è alla base di tutto, allora ognuno assume il suo giusto posto e giusto peso. È per questo motivo che Gesù aggiunge alle affermazioni sopra citate: “Così chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 27).
Un vero discepolo non è solo colui che sa mettere al posto giusto ciò che conta, ma è anche colui che con realismo si prende la responsabilità di ciò che è reale nella sua vita, e decide di farsene carico non in maniera eroica, ma in maniera umile, seguendolo. Tuttavia quanto finora letto, se consideriamo la nostra fragilità e pochezza umana, è chiaramente impossibile viverlo se non è il Signore a rendere possibile ciò che ci domanda. È per Sua grazia che possiamo amarlo veramente. È per Sua grazia che possiamo prenderci la responsabilità della nostra vita fino in fondo e andargli dietro. Claudio e Daniela ci aiutano a ricordare che Dio rende sempre capaci coloro a cui domanda qualcosa. È la fede in Lui e non nelle nostre sole forze che fa la differenza. Solo così facendo ogni cosa trova il suo posto e il suo coraggio.
Un eccomi veramente preparato da tempo!
Claudio nasce a Bra, il 6 luglio 1965, nella memoria di S. Maria Goretti, e, Daniela Ternavasio, due anni dopo, il 30 marzo1967, nel giovedì dell’Ottava di Pasqua, anch’essa a Bra. Lui abiterà a Madonna del Pilone, frazione di Cavallermaggiore; lei a Falchetto, frazione di Bra. Pertanto si può tranquillamente dire che si conoscono da sempre perché le due frazioni distano pochi chilometri l’una dall’altra e, con l’unificazione delle parrocchie sotto lo stesso parroco, i nostri due Amici praticamente hanno vissuto tantissime attività insieme fin da piccoli.
Tornando indietro di parecchi anni don Filippo Barbero era parroco titolare delle due parrocchie site in entrambe le frazioni. A Madonna del Pilone, la chiesa è intitolata alla Madonna della neve, nella frazione Boschetto al Nome di Maria. Con visione lungimirante, cosa molto originale per quegli anni, ne parla con i superiori, prepara i fedeli e, con decreto datato 16 luglio 1986, le due comunità diventano un’unica parrocchia dal titolo giuridico: Maria Madre della Chiesa.
Tutto rimarrà come prima e le attività saranno comuni. Qualche anno dopo i vescovi auspicheranno simili unioni rese sempre più necessarie, dovute anche alla scarsità del clero e prenderanno il nome di: unità pastorale. Don Filippo, aiutato da alcune coppie molto attive, dà vita a un vivacissimo oratorio dove si possono svolgere tante attività. La gioventù corrisponde abbondantemente forte anche la pastorale catechistica, la cantoria di cui Daniela è sempre stata appassionata e tante altre attività. Sarà proprio in questi anni che i due, allora veramente giovani, 18 lui e 16 lei, vedranno scattare la scintilla della simpatia e dell’interesse comune, ma tutto si doveva fare con calma perché così era l’educazione di allora.
Frequentazione di luoghi e attività parrocchiali, ma niente altre concessioni, almeno fino alla maggiore età. Con il senno del poi, anche quella è stata Provvidenza perché, così facendo, senza magari tante distrazioni giovanili, le basi hanno potuto solidificarsi in modo forte. Compiuti i 18 anni Claudio parte per il servizio militare. Intanto a Madonna del Pilone si sta preparando il terreno per accogliere una nuova realtà. Don Filippo ha un pensiero che lo “perseguita”: se le famiglie non fanno prima loro un cammino di catechesi serio, mandare solamente i fanciulli, i ragazzi al catechismo è un discorso riduttivo e incompleto: i genitori devono essere i primi catechisti dei loro figli. Ma come fare a rendere consapevoli di questo le famiglie?
Quale cammino di catechesi occorre proporre loro? Questo pastore zelante prega, s’informa, cerca finché scopre che, in una parrocchia di Torino, è stata accolta la proposta offerta dal Cammino Neocatecumenale: attraverso la catechesi sulla Parola di Dio, preparare cristiani adulti nella fede, in particolare le famiglie.
È ciò che fa per lui! Si mette subito in viaggio per andare a incontrare questo suo confratello e chiedergli se può dargli una mano a dare vita anche nelle sue comunità a questo Cammino. La risposta che riceve è negativa perché, a quel tempo in Italia, si era praticamente all’inizio di quell’esperienza, pertanto i pochi catechisti disponibili avevano intrapreso da poco il cammino di formazione e non erano pronti per dare vita ad altri gruppi. Don Filippo torna a casa e, apparentemente, sembra avere messo il cuore in pace. Tuttavia continua a lavorare e impegnarsi nelle sue comunità spendendosi in tutti i modi nella pastorale per animare dello Spirito del Signore i suoi fedeli. E lo Spirito Santo lavora, perché da Fossano, arriveranno alcuni catechisti pronti finalmente a lanciare anche a Madonna del Pilone la proposta del Cammino. Correva l’anno del Signore 1981.
All’inizio dell’avventura sono tante le famiglie che partecipano alla proposta di catechesi. Claudio, tornato dal servizio militare nel Corpo Carabinieri a Genova, partecipa attivamente alle varie proposte offerte dal Cammino. Intanto anche Daniela è cresciuta, finalmente è maggiorenne. Frequenta le Magistrali all’Istituto San Giuseppe di Bra, meglio conosciuto come “La Provvidenza” e lì raggiunge la maturità. Ora può iniziare “ufficialmente” il suo fidanzamento con Claudio; anch’essa aderisce al Cammino, finché, domenica 15 ottobre 1989, si uniscono in Matrimonio, nella chiesa del Nome di Maria, nella frazione Boschetto, di Bra. Una giornata piena di luce e di gioia.
Da quel felice matrimonio nascono 5 figli: nel 1992 Serena, nel 1995 Francesco, nel 1998 Davide, nel 2005 Nicola e infine nel 2009 Alberto. Famiglia numerosa e felice, pur con gli alti e bassi di ogni umana famiglia, ma sempre forte nell’impegno per il Signore in piena sintonia con la Chiesa. Arriveranno a coronare 30 anni di matrimonio dedicando alla Madre di Gesù, un ben visibile pilone che accoglie tutti coloro che vengono a visitare la famiglia. Un’immagine dolcissima della Mamma Celeste dipinta su una tavola di legno, che rappresenta bene l’immagine che ha ispirato Kiko.
Essa è simbolo del Cammino Neocatecumenale. Solamente comprendendo un Cammino così forte e impegnativo, si arriva a comprendere perché papà Claudio, davanti ai corpi dei due figli stesi per terra, fin da subito ha avuto il coraggio e la forza di dire: “Sia fatta la Volontà di Dio!”. Quest’espressione è stata udita dal medico che, accorso sul luogo, ha cercato di rianimare i due giovani. Questo che segue, invece, è parte di un vocale di mamma Daniela del 1 dicembre 2020: “Ci vuole tempo a realizzare che tuo figlio, nel nostro caso, i tuoi figli, sono morti.
Quando ho capito quanto stava accadendo, ho preso la statua della Madonna che abbiamo in casa e mi sono messa a pregare ad alta voce l’Ave Maria, a dirle di salvarli, perché potevano esserci più persone. Io non vedevo perché ero bloccata in casa con una gamba rotta, pertanto non sono neanche potuta andare sul posto subito; anche se non so nemmeno se sarei andata. Ho solamente detto a Maria: “Salvali!”, forse inconsciamente non sapendo che, avrei compreso solamente dopo l’ascolto di una catechesi di un sacerdote, che “salvare” significa anche: salvali dalla morte eterna! Io, in quel momento, intendevo: salvali dalla morte; ma subito dopo ho collegato il resto: salvali dalla morte eterna. In fondo Maria mi ha ascoltato, quindi in quegli attimi ho veramente pregato. Davanti casa abbiamo un nuovo pilone dedicato alla Madonna. Con la mia gamba rotta, con chi c’era in quel momento mia cognata, mia suocera, ci siamo recati lì e abbiamo pregato … abbiamo pregato!
E, loro, erano già tutti e due nelle braccia della Madonna. Ancora mi emoziona dirlo, però lo dico con riconoscenza a Maria: Grazie di averli accettati con Te!”. Ogni commento sinceramente è superfluo! Solamente le Tre Divine Persone sapranno valutare in pienezza questa Storia e rivelarne i retroscena. Sicuramente un’altra “chiave importante” si può trovare in ciò che è avvenuto in una tappa del Cammino intrapreso anni prima. Una delle proposte da catecumeni, è un pellegrinaggo - convivenza a Roma con sosta di ritorno a Loreto. Qui, all’interno della Santa Casa, viene consegnata singolarmente la Corona del Rosario e si fa l’Atto di affidamento a Maria. Quel dono e quelle parole pronunciate, per Claudio e Daniela, furono un momento di svolta. Anni dopo comprenderanno quel qualcosa di così profondo che, sicuramente ai più, non è dato di capire.
Ed ora i due fratelli si presentano
Francesco
Ciao, il nome lo conoscete già, perciò vi racconto un po’ come sono venuto al mondo. La mia cara mamma ha tribolato abbastanza per avermi. Eh sì, la gravidanza è stata un vero travaglio, anche a motivo della placenta che si è staccata causando gravi perdite di sangue che l’hanno costretta a rimanere a letto, immobile, per tanti giorni. Ma, con l’aiuto del Signore e la sua tanta fede, all’ospedale Santo Spirito di Bra, con parto naturale, lunedì18 settembre 1995, alle ore 20,45, mamma finalmente mi diede alla luce del sole. Accidenti, pesavo 3 chili e 200 grammi. Ora, se guardate la mia carta di riconoscimento, vedrete che i miei capelli sono scuri e risaltano bene sulla mia pelle chiara.
I miei occhi inizialmente più scuri, ora tendono verso il color nocciola. Il mio fisico? Abbastanza asciutto. Il mio carattere? Tranquillo e, direi, meditativo anche se amo intrattenere i miei amici con la musica. Chi mi conosce bene, ha sempre detto che ho il viso sereno, il volto buono. Fin da piccolo ho nutrito la passione per i trattori e per tutto ciò che riguarda il lavoro della terra. In questo mi hanno dato man forte anche mio cugino Alessio e il caro fratello Davide. Le scuole elementari le ho frequentate ancora nella mia frazione di Madonna del Pilone, mentre la scuola media l’ho fatta a Bra, all’Istituto Salesiano “San Domenico Savio”.
Con i Salesiani mi son trovato talmente bene che, insieme alla mia famiglia, abbiamo scelto che vivessi anche la scuola superiore aiutato da loro. Pertanto ho frequentato l’Istituto Agrario delle Scuole Salesiane a Lombriasco (TO), ivi conseguendo il diploma di perito agrario. Ho sempre accolto con tanto amore le proposte dei miei genitori seguendoli anche nelle varie tappe del Cammino. Infatti, a 14 anni, ho scelto di farne parte anch’io e non c’è catechesi che non mi abbia interessato e aiutato a crescere. Così facendo ho pure scelto di essere presente anche all’oratorio e alla catechesi della mia parrocchia, prima da “animato”, poi, crescendo, da “animatore”. Come constaterete, una vita, la mia, bella, piena, ricca.
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